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'Fuga da Santo Stefano', le evasioni dal carcere borbonico

'Fuga da Santo Stefano', le evasioni dal carcere borbonico

Scritto da Vittorio Buongiorno, edizioni 'Ultima spiaggia'

ROMA, 10 luglio 2024, 23:32

Redazione ANSA

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libro - RIPRODUZIONE RISERVATA

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L'isola di Santo Stefano custodisce tante storie. Alcune note. Altre no. Tutte di dolore, disperazione e di profonda ingiustizia. Ma anche di sfida e di evasioni. Ed è su queste che si concentra il libro 'Fuga da Santo Stefano' di Vittorio Buongiorno (edizioni Ultima Spiaggia, pp.173, euro 18.50), scrittore e giornalista del Messaggero, edito da 'Ultima Spiaggia'. Un libro che ridà spazio e voce a chi, pur essendosi macchiato di crimini efferati, ha lottato fino all'ultimo per la propria libertà.

Costruito nel 1795 come il Teatro San Carlo di Napoli, sul modello del panopticon, cioè con un punto centrale dal quale si controlla l'intero semicerchio sul quale si aprono le 99 celle dalle quali non si vede neanche il mare, il carcere borbonico è considerato da sempre un luogo di indicibile sofferenza dal quale era impossibile fuggire. Come dimostrò anche il fallito tentativo dell'eroe risorgimentale Luigi Settembrini. Da questa 'Alcatraz del Tirreno', divenuta il simbolo della nascita europea per il sogno coltivato dai prigionieri politici come Altiero Spinelli, anche solo pensare di evadere era ritenuto follia: l'isolotto è a 2 km da Ventotene, a circa 20 miglia dalle coste di Formia e di Ischia ed è spesso sferzato dai venti. Inutile costruire muri. Il muro c'è già ed è fatto di mare e di scogliere a picco.

Eppure, negli anni, più di una persona ha vinto la sfida ed è riuscita a scappare. Vittorio Buongiorno ha scoperto questi casi, frugando tra le carte dell'archivio del carcere trasferito di recente a Latina e li ha raccontati con stile giornalistico e incalzante, fornendo un'accurata ricostruzione storica di ogni evasione. Dalle pagine di 'Fuga da Santo Stefano' riaffiorano così figure antiche che, pur di riprendersi la libertà perduta, sono pronte a tutto. A sfidare la morte, l'ira delle guardie e la furia del mare. Come Marcello Gustin che fu il primo, negli anni '30 a tentare di scappare. La sua storia è degna di un film d'azione o di un romanzo d'appendice alla Dumas. Per ingannare le guardie, il giovane sloveno, accusato di essere il capo di una banda di rapinatori e di assassini, realizzò con la mollica di pane un pupazzo con le sue sembianze. Lo vestì e lo mise nel letto per far credere che stesse dormendo. L'espediente servì a ritardare di qualche ora la scoperta della sua fuga e Gustin tenne in scacco per diversi giorni gli agenti arrivati sull' isola per riacciuffarlo.

Ancora più audace è l'impresa di Giovanni Scalfi che riuscì ad arrivare ad Ischia, prima a nuoto e poi con una barca di fortuna. Lui e il fratello Fiorino rapinarono una banca e ne uccisero il direttore. La folla sentendo gli spari accorse e li bloccò, ma prima che riuscisse a linciarli, il fratello della vittima li perdonò con un gesto fuori del comune. Marino Zambiasi, sacerdote, appena saputo della morte del congiunto e del rischio che stavano per correre i due aguzzini, prese il crocefisso dalla sua Chiesa e lo piantò davanti alla folla urlando: "Io perdono, perdonate anche voi!". Protagonista di varie peripezie, Scalfi scappò anche nella Jugoslavia di Tito e si finse un saltimbanco-prestigiatore, ma dopo qualche tempo venne scoperto perché sospettato di essere una spia.

Nel libro di Buongiorno, oltre alle fughe più o meno rocambolesche, si racconta di Antonio Perucatti, il direttore del carcere che, durante il governo Tambroni, tentò di rendere più umana e civile la detenzione a Santo Stefano attraverso riforme considerate epocali come quelle di portare sull'isola la corrente elettrica, dar lavoro agli ergastolani e realizzare un cinema. Ma anche di come da Roma si fece di tutto per tentare di bloccarlo. Persino con evasioni 'organizzate'. Tra le tante storie che ci narra Buongiorno ci sono anche tragiche fake news.  Come quella di Vito Andrea Simone che la burocrazia italiana definì 'evaso', mentre era stato 'mandato a morire'. Di tanti altri invece non resta traccia. Il muro di mare e di silenzio ne ha portato via la vita e la memoria.
   

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