"Glauco era una persona semplice, con un'umanità rara, introverso, timidissimo, stava tra sé e sé anche nella vita, era un tipo solitario, come sono gli attori di teatro. Ma quando stava lì, non ce n'era per nessuno! Anche Strehler lo diceva", sorride Gabriele Lavia, pescando tra i ricordi e le esperienze che lo legano a Glauco Mauri, morto ieri alle soglie dei 94 anni.
"Lo conosco da quando nemmeno andavo all'Accademia di Arte Drammatica. Da ragazzo abitavo a Torino, lui era un attore del Teatro Stabile e io, da fanatico, andavo a vederlo, in tanti spettacoli: era il mio attore prediletto. Poi l'ho visto altre volte soprattutto uno dei personaggi che gli è venuto meglio, quello di Mauler in Santa Giovanna dei Macelli, con Strehler", ricorda, in una conversazione con l'ANSA, l'attore e regista, tra gli interpreti più carismatici e riconosciuti del teatro italiano, 82 anni il prossimo 10 ottobre. "Ho lavorato anche con lui, in uno spettacolo leggendario, il Tito Andronico con la regia di Aldo Trionfo: io facevo l'attor giovane, lui faceva Tito Andronico, ed era di una bravura inarrivabile. Me lo guardavo tutte le sere dalle quinte, e quando diceva 'Qua una spada', pensavo 'Ma quanto è bravo, beato lui!'", sospira Lavia. "Poi siamo diventati amici. E quando lo incontravo, arrivava immancabilmente il momento in cui gli chiedevo di raccontarmi un episodio. Gli dicevo 'Glauco, mi ricordi cosa ti disse Memo Benassi quando ti raccontò, sul Transatlantico Conte Biancamano che vi portava a Buenos Aires, come era la Duse?'. E lui, che aveva questa straordinaria memoria, lo raccontava: il Benassi, che aveva lavorato con la Duse, gli aveva detto di raggiungerlo in cabina, prima di andare a dormire. Glauco aveva bussato alla porta della cabina, era entrato, e non aveva visto nessuno. A un certo momento si era aperta la porta ed era uscito Memo con una lunga vestaglia, si era seduto su un divanetto, aveva fatto un movimento con la testa, poi un altro e aveva detto 'ecco, questa era la Duse'. E Glauco - si appassiona Lavia - commentava: 'quella sera credo di aver visto veramente la Duse'".
Negli ultimi tempi Mauri "era molto stanco, molto vecchio: ho visto il suo ultimo re Lear, era in scena sulla sedia a rotelle e mi è sembrata come una crudeltà. Ma capisco che ti aggrappi disperatamente alla vita, e poi come può un attore abbandonare il teatro? Si deve sparare, non può. Glauco è stato il teatro, ha fatto il teatro. Ieri sera è tornato a casa, dopo aver cenato coi i nipoti, si è messo a letto e si è addormentato per l'ultima volta. Forse era giusto così. Ora - è l'auspicio di Lavia - spero che a Pesaro, la sua città, ci sia una strada che si chiama Glauco Mauri, come a Fano ce n'è una che si chiama Ruggero Ruggeri". Domani Lavia sarà all'Argentina per la camera ardente: "Passerò dalla platea per salutarlo, poi andrò in sala prove", per il Re Lear con cui sarà in scena dal 27 novembre al 22 dicembre. "Voglio dedicarlo a lui", conclude.
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