Forti polemiche sulla stampa in
Francia dopo le parole del ministro dell'Interno, Gérald
Darmanin, secondo il quale i giornalisti devono avvertire le
autorità prima di recarsi a seguire per la loro testata una
manifestazione. Investito dalle proteste, lo stesso Darmanin
poche ore dopo ha fatto marcia indietro, affermando che non
stava parlando di "un obbligo".
La dichiarazione di Darmanin ha contribuito ad esarcerbare
gli animi in una situazione già molto tesa fra il governo e
diverse organizzazioni di giornalisti, che denunciano la
proposta di legge in discussione in Parlamento sulla "sicurezza
globale". Il progetto di legge limita, in particolare, la
diffusione di immagini di poliziotti in servizio, una
disposizione che la maggioranza dei media ritiene un possibile
ostacolo al diritto di informazione. In diverse città francesi,
migliaia di manifestanti hanno protestato negli ultimi 2 giorni
contro questa che viene definita "legge liberticida". A Parigi,
una trentina di persone sono state fermate dopo una
manifestazione nei pressi dell'Assemblée Nationale. Un
giornalista della tv pubblica France 3, che filmava questi fermi
operati dalla polizia, ha trascorso 12 ore in stato di fermo.
Interrogato ieri pomeriggio su questo caso, Darmanin ha
affermato che i giornalisti "devono contattare le autorità"
prima delle manifestazioni che si recano a seguire, così da
poter fare "il loro lavoro protetti dalle forze dell'ordine".
Parole che hanno fatto infuriare le associazioni di giornalisti,
con molti che hanno utilizzato Twitter per rivolgersi
direttamente al ministro facendogli notare che le manifestazioni
di piazza non possono essere subordinate ad alcun "accredito".
La nuova legge sulla cosiddetta "sicurezza globale" prevede
misure destinate a rispondere alle proteste dei sindacati di
polizia, che lamentano minacce e aggressioni in aumento. Oggetto
di disputa particolarmente accesa, la disposizione che prevede
una pena di un anno di carcere e 45.000 euro di ammenda per la
diffusione di "immagini del volto o altro elemento di
identificazione" di un poliziotto o di un gendarme durante un
intervento, quando ciò punta a "mettere in pericolo la sua
integrità fisica o psicologica". Le associazioni di giornalisti
denunciano una misura che verrà applicata non soltanto ai media
ma anche a qualsiasi cittadino che riprenderà un'operazione di
polizia.
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