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Acab, tra caos e ordine la Mobile debutta su Netflix

Acab, tra caos e ordine la Mobile debutta su Netflix

Giallini è ancora Mazinga, con Giannini e Bellè. Regia Alhaique

ROMA, 13 gennaio 2025, 18:59

di Daniela Giammusso

ANSACheck
- RIPRODUZIONE RISERVATA

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Una notte di feroci scontri con i No Tav in Val di Susa. Una squadra del reparto mobile di Roma che resta orfana del suo capo, rimasto gravemente ferito. E un nuovo autunno caldo alle porte. Sedici anni dopo il libro di Carlo Bonini (ed. Feltrinelli) e poco meno dal film di Stefano Sollima, Acab e il racconto più crudo della vita di una squadra del Reparto Mobile della Polizia diventano serie, con il debutto su Netflix il 15 gennaio dei sei episodi prodotti da Cattleya e diretti da Michele Alhaique. Protagonisti, Marco Giallini, che torna nella divisa del controverso Mazinga. E poi Adriano Giannini, nei panni di un agente in eterno "conflitto, che vorrebbe gestire tutto nella maniera più democratica, ma questo lo allontana, dalla famiglia, dagli affetti, dalla squadra". E ancora Valentina Bellè, Pierluigi Gigante, Fabrizio Nardi, Donatella Finocchiaro,

"Un progetto che abbiamo sentito subito necessario e urgente, perché tratta il tema universale e attuale della dialettica tra ordine e caos", racconta la vicepresidente per i contenuti italiani di Netflix Tinny Andreatta, accanto a Sollima in veste di produttore esecutivo. "È una serie che va aldilà del genere crime", prosegue, secondo la "linea Netflix di storie coraggiose che rompono stereotipi e intrattengono senza dare risposte preconfezionate, ma spesso lasciando domande". "Una storia - aggiunge il Ceo di Cattleya Riccardo Tozzi - che affronta il grande tema della società civile che conferisce allo Stato il monopolio della violenza".

Il libro e poi il film nacquero all'indomani del G8 di Genova e dei fatti alla caserma Diaz. La serie (che riprende l'acronimo All Cops Are Bastards apparso al tempo su un muro a Torino) oggi debutta dopo gli scontri per la morte del giovane Ramy a Milano, inseguito dai carabinieri. Cosa è cambiato in questi anni? "Il tema di fondo e i conflitti sono gli stessi", risponde Bonini che firma anche la sceneggiatura insieme a Filippo Gravino, Elisa Dondi, Luca Giordano e Bernardo Pellegrini. "Sicuramente c'è più consapevolezza - prosegue -. La polizia si è data una scuola di ordine pubblico, nel reparto mobile sono entrate le donne, si usano le body cam. Mancano altre cose, come un codice alfanumerico di identificazione. Ma il tema non è 'sto con la polizia o no'. Il problema è se quella notte chi ha inseguito quel ragazzo si è comportato secondo le regole o no". Il tema è "rispettare il confine tra uso legittimo e illegittimo della forza: decisioni che avvengono in 20 secondi e in condizioni di stress altissimo. La manutenzione psicologica ed emotiva di queste persone dovrebbe essere di altissima qualità. Non sempre ci si riesce, ma penso che proprio perché lo Stato ha il monopolio della forza deve essere rigoroso nel perseguire là dove le regole non sono rispettate. È così che si mantiene la fiducia. L'omertà usata per proteggersi reciprocamente è invece la peggior condanna".

"Leggendo il copione, quello che mi ha colpito è stata la possibilità di costruire due mondi: uno pubblico e uno privato, con e senza divisa", racconta il regista Alhaique, che sul set ha lavorato partendo dalla colonna sonora dei Mokadelic. "Ogni conflitto è sempre una guerra tra poveri - riflette Giallini -. Da ragazzo non ho mai fatto in tempo a partecipare a nessuna lotta, ero troppo piccolo o troppo grande. Guardavo quelli che si lanciavano le bottiglie. Una volta a viale Somalia, quelli che vidi li ho ritrovati poi in tv, morti o intervistati. Ma i morti per la politica in Italia, mi sembra tutto inutile. Per cambiare cosa? Oggi? Sui social parlano personaggi che invece di influenzare forse dovrebbero andare a scuola, come diceva mio padre. Nei commenti leggo cose terribili. Ma è lo specchio della società".

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