(di Paolo Petroni)
CARLO EMILIO GADDA, ''GIORNALE DI
GUERRA E PRIGIONIA'' (ADELPHI, PP. 626 - 35,00 EURO - Nuova
edizione accresciuta a cura di Paola Italia). Chi ama la
scrittura e la narrazione di Carlo Emilio Gadda ben conosce le
diverse scritture per esempio di ''Quer pasticciaccio brutto de
Via Merulana'' o de ''La cognizione del dolore'', per limitarci
ai suoi due capolavori più conosciuti. E' infatti un autore di
grande ricchezza che non finisce di sorprendere e ogni nuova
edizione di una sua opera ha davvero quasi sempre una nota di
novità, visto il continuo lavoro che viene fatto sui suoi
archivi e manoscritti. Qualcosa di più, il ritrovamento di sei
taccuini inediti e sconosciuti, ritrovati nella biblioteca di
Alessandro Bonsanti, rendono di gran rilievo questa riproposta
del ''Giornale di guerra e prigionia'', già più volte
arricchito, dopo la prima edizione del 1955, che esce ora, alla
viglia dei cinquanta anni dalla morte dell'autore, avvenuta il
21 maggio 1973.
''Nessuna preoccupazione letterario e cura nel redigere
quanto scrivo qui'', ribadisce anche nel novembre 1918, a
proposito di queste pagine, non letterariamente atteggiate come
saranno quelle poi di Comisso, Soffici o Stuparich, ma diario in
presa diretta di quell'esperienza eccezionale, sua iniziatica
cognizione del dolore. Ma sono comunque da considerare la prima
vera prova di scrittura di Gadda, che vi lavorò dal 24 agosto
1915 sino alla disfatta di Caporetto e poi al suo finire
prigioniero in Germania nell'ottobre del '17 soffrendolo come
fallimento personale e infine il ritorno in patria a fine 1919.
''Opera profonda e potente che appartiene a pieno titolo alla
grande letteratura di guerra'', scrive la curatrice Paola
Italia, e che non è ''come inizialmente si è ritenuto, una prova
generale della sua narrativa (che prende avvio proprio durante
la prigionia), ma un'opera in sé, originalissima e autonoma'' e
anche ''eccezionale documento storico''.
In trincea certo, ma soprattutto in prigionia la scrittura è
per lui una forma di resistenza e libertà. I nuovi taccuini
rivelano infatti come quel laboratorio letterario che è sempre
sembrato questo ''Giornale'', lo divenisse in forma cosciente e,
accanto a quella sezione che comincia a chiamare ''Vita notata.
Storia'' legata alla cronaca e al reale, nascessero anche parti
intitolate ''Pensiero notato. Espressione'' fatte di invenzioni,
riflessioni, percezioni, confronti sullo scrivere e il lavoro
artistico, come quelle sul rapporto con Bonaventura Tecchi e su
un racconto di Ugo Betti - suoi compagni di prigionia - datate
tra novembre e dicembre 1918. Riflette, per esempio, che ''un
solo aspetto di un individuo... non dice niente della sua
personalità'' e ''soltanto la comprensione di tutta la sua vita
può avere carattere di relativa unità e di relativa
personalità.... ecco perché la torbidezza di questo diario
somiglierà in parte alla complessità, cioè alla torbidezza,
della vita''.
A leggere queste pagine, affascinanti, con lui che è partito
per una guerra che definiva ''necessaria e santa'', si passa
quindi dall'entusiasmo all'aspra delusione per l'impreparazione
italiana, dal desiderio di coraggio alla scoperta di quel che
chiama la natura degli italiani di cui arriva a scrivere che
sono ''Asini, asini, buoi grassi, pezzi da grand hotel, avena,
bagni, ma non guerrieri, non pensatori, non costruttori;
incapaci di osservazione e d'analisi, ignoranti di cose
psicologiche, inabili alla sintesi'' quando non sono anche
imboscati capaci di attrare la sua rabbia più feroce (''che
vedano i loro figli scannati a colpi di scure'') con quella
verve, quella profonda insofferenza da cui scaturisce
l'invettiva che sembra presagire toni e invenzioni di quella
contro il Duce di ''Eros e Priapo''.
La guerra, per Gadda diventa una sfida tra se stesso e quel
mondo imprevisto che vive anche come continua esperienza di
verifica del proprio grado di umanità, per cui si mette spesso
in gioco in prima persona, e di quello altrui. E' irritato
dall'inadeguatezza e la viltà di molti, ma, specie dopo
Caporetto e in prigionia, esprimere anche la propria desolazione
e sconfitta: ''Io mi sento finito: sento di non aver fatto a
bastanza per la Patria e per il mio superamento morale, e di non
essere più in grado di fare'', e poi ancora si dice ''alterato
nell'animo: pensieri di morte di desolato decadere si alternano
con lampi di ricordi radiosi: rimorsi della mia condotta passata
verso mia madre, verso la mia famiglia, con orrende bestemmie
che mi lasciamo poi instupidito e vuoto''.
Per chi fosse interessato alle novità filologiche e alla
natura dei nuovi taccuini, c'è, oltre alle 75 pagine della Nota
letteraria di Paola Italia, una loro puntuale descrizione finale
di Eleonora Cardinale dell'archivista della Biblioteca
Nazionale, che ne evidenzia anche il precario stato di
conservazione, tra gore di umidità e attacchi fungini, che ha
reso necessario un intervento di restauro, dopo il quale ''è
stato possibile procedere alla digitalizzazione di tutto il
materiale''.
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