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Parlano le donne afghane, Fuorché il silenzio di Zainab Entezar

Parlano le donne afghane, Fuorché il silenzio di Zainab Entezar

Fuorchè il silenzio, con le voci delle attiviste

ROMA, 18 novembre 2024

Redazione ANSA

ANSACheck

(di Laura Valentini) ZAINAB ENTEZAR 'FUORCHÈ IL SILENZIO' (Editoriale Jouvence, Pp 594, Euro 30,00) Uomini che odiano le donne e donne che li combattono e non rinunciano alla lotta anche quando si tratta di pagare in prima persona con il carcere, le violenze e, se va bene, l'esilio. E' l'affresco dell'Afghanistan moderno raccontato direttamente dalle attiviste nel libro 'Fuorché il silenzio - Trentasei voci di donne afghane' in uscita il 29 novembre. I testi sono raccolti dalla regista e scrittrice afghana Zainab Entezar, rivisti da Asef Soltanzadeh: sono trentasei le donne afghane che si raccontano e dipingono la loro vita fino alla primavera del 2022, il momento in cui Entezar, costretta dalla latitanza, chiude le interviste. Sullo sfondo il ritorno dei talebani nel paese il 15 agosto del 2021, con la conseguente imposizione di norme che negano alle donne, per l'ennesima volta in quella terra, i più elementari diritti. Entezar all'inizio filma le proteste: "Io e la mia cinepresa fummo testimoni di come le donne alzavano la loro voce di fronte alla violenza e ai pestaggi". Tuttavia le diventa presto chiaro che girare un film è difficile e il materiale puo' andare perduto quindi pensa di scrivere i racconti delle donne. La raccolta delle interviste e degli scritti, iniziata il 21 dicembre del 2021, dura circa sei mesi, con varie interruzioni a causa degli arresti. Le testimonianze arrivano da attiviste per i diritti civili che si sono mobilitate per manifestare il loro dissenso nei confronti del regime. Ci sono personalità di spicco della società afghana ma anche donne comuni, di istruzione e estrazione sociale molto diverse tra loro. Con un denominatore comune, come osserva la curatrice dell'edizione italiana Daniela Meneghini: "le manifestazioni contro la negazione dei propri diritti fondamentali e la richiesta di libertà". Un altro tratto che si riscontra in tutte le testimonianze è la delusione rispetto alle speranze sollevate dall'Occidente che, nel sentire generale, ha poi abbandonato la popolazione al proprio destino di fronte al ritorno dei talebani. "La nostra piccola speranza era che le Nazioni Unite sarebbero sicuramente intervenute per prevenire il loro arrivo" racconta Lina Ahmadi, avvocato e attivista che si dice certa che le donne afghane siano sole di fronte alla minaccia talebana. Perché Lina come tante altre si deve allontanare dalla famiglia, deve scappare dalla sua città.
    "L'arroganza mi disgusta: mi disgustano i paesi che con arroganza incolpano il popolo afghano per il dominio talebano affermando che non siamo degni di un sistema democratico". Del resto "riconciliarsi con i talebani ha significato il dissolversi di tutte le speranze della gente" dice Tamanna Rizaei, il cui padre viene ucciso per cupidigia da un notabile del luogo, omaggiato per la sua influenza anche dalla Nato ma in combutta con i talebani; la ricerca di verità della giovane donna porta all'arresto dei figli complici del colpevole che poi, con l'arrivo dei talebani al potere, vengono liberati.
    Tamanna viene arrestata e processata, riuscirà infine a passare il confine con il Pakistan. Padri che fanno i salti mortali per mandare le figlie all'università o che dicono loro che non devono sposarsi fino al conseguimento della laurea: non ci sono solo le leggi medievali dei talebani e i loro orribili soprusi nei racconti delle donne afghane. I dimostranti anti-regime, colpiti e arrestati sono sia uomini che donne. Ma certo le più colpite dalle leggi repressive sono le donne e sono loro a tenere accesa la fiaccola della rivolta: "se noi donne non temiamo la loro repressione, il nostro numero aumenterà di giorno in giorno, e altre donne troveranno il coraggio di uscire dalle mura di casa per unirsi a noi" afferma Marziya Mohammadi.
    La delusione per il comportamento dell'Occidente, palpabile in tutte le testimonianze non frena la volontà di opporsi: "Se non sopportiamo le difficoltà di oggi, ci vergogneremo per sempre davanti alle generazioni future" osserva Zahra Mosavi. Alcune hanno avuto una prima giovinezza drammatica. Khalida Shafi'i è una ragazza di una famiglia povera del villaggio di Gardan-e Dāvud nel distretto di Jaghori, una parte rurale al centro del paese. Si avvicina al movimento delle attiviste dopo un'esperienza di sposa bambina (14 anni) con un marito che la picchia e la minaccia. Quando lei e due sue sorelle scappano in Pakistan quasi non riesce a credere alla libertà che trova in questo paese: da oltreconfine l'Afghanistan le fa l'effetto di una tomba.
   

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