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Percival Everett, Huckleberry Finn dalla parte di James

Percival Everett, Huckleberry Finn dalla parte di James

L'ironia di Twain sfuma nel noir della feroce vita da schiavi

ROMA, 01 dicembre 2024

(di Paolo Petroni)

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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PERCIVAL EVERETT, 'JAMES' (LA NAVE DI TESEO, pp.336 - 20,00 euro - Traduzione di Andrea Silvestri)

La narrativa americana con storie di ragazzini che crescono e si misurano con la vita, da Tom Sawyer e Huckleberry Finn di Twain sino all'Augie March di Bellow e al Walter-Mr Vertigo di Auster, è stata letta anche come metafora della crescita, del senso di avventura e libertà dell'America stessa: così Everett, riscrivendo in questo libro - che ha appena vinto il National Book Award 2024 per la fiction - proprio Huckleberry Finn dalla parte del suo compagno di viaggio, lo schiavo fuggiasco Jim, dona al romanzo di Twain quel più di concretezza e verità storica, che c'era, viste le idee antischiaviste dell'autore, ma nascosta da condizionamenti dell'epoca.

Basti dire che il nuovo Jim, che allora parlava un inglese storpiato, degli schiavi, ora lo fa solo per restare al suo posto e non provocare i bianchi ("Dobbiamo lasciare che siano i bianchi a dare un nome alle cose" e non mostrare la punibile presunzione di farlo anche noi), ma di nascosto si è istruito, ha imparato a leggere, scrivere e parlare correttamente, tanto che dimostra di conoscere persino Voltaire ma il suo incubo, nei sogni, è John Locke, il filosofo teorico della schiavitù (autori scoperti di nascosto nella biblioteca del padrone). La lingua, quindi, come arma vera, principale di emancipazione, come componente essenziale della dignità umana. E proprio grazie alla sua lingua e cultura Jim, che ci tine a far sapere che il suo vero nome è James, ci sorprenderà con un finale diverso da quello di Twain, un finale di estrema presa di coscienza e ribellione, grazie anche a una pistola che finisce nelle sue mani.

Come dall'originale, di cui si rivisitano molte avventure, Huck scappa dalla fattoria per fuggire alle violenze del padre e incontra Jim che scappa perché il padrone ha deciso di strapparlo a sua moglie Sadie e alla figlia Lizzie vendendolo.

Lui punta a arrivare al nord (a proposito qui si cita anche quella Ferrovia sotterranea di cui ha raccontato Colin Whitehead) e guadagnare i soldi per riscattarle, comprandosele. Il romanzo perde subito l'ironia di Twain e certa sua leggerezza, che lo ha fatto spesso confondere per un libro per ragazzi, perché il protagonista ha una coscienza lucida del mondo in cui si è trovato a vivere e di cui ci mostra la realtà nuda e cruda, quella della indifferenza e violenza con cui vengono trattati gli schiavi e la ferocia sadica con cui vengono puniti. Quasi un risvolto noir di questa fuga in zattera giù per il grande fiume, e basti tra i tanti l'esempio di Jim che incontra un altro schiavo, il quale riesce a procurargli uno spezzone di matita sottratto al suo padrone e, scoperto, per questo sarà linciato, frustato a sangue e impiccato a un albero, o quello di una povera schiava che Jim libererà per pena convincendola a seguirlo e che farà una terribile fine.

L'avventura lungo il Mississippi procede, nutrendosi di pesci gatto pescati nel fiume, tra incontri appunto di loro simili e di bianchi avventurieri che vogliono approfittarsi della loro situazione di fuggiaschi e li mettono più volte nei guai. Ecco i Black Minstrels, un coro di bianchi che imitano i neri coprendosi il viso con lucido da scarpe per far ridere altri bianchi cantando canzoncine che rifanno il verso alla lingua dei neri e che qui Everett coglie l'occasione per farcele conoscere, visto che Jim con la sua bella voce ne entra in possesso, quando gli viene chiesto di fare parte del complessino per sostituire di nascosto un cantante sparito. Ma, tra le tante avventure e sorprese e agnizioni che il lettore troverà, ecco anche due bianchi che invece li ricattano e vorrebbero rivendere come schiavo Jim, e così uno schiavo di pelle molto chiara che Jim cercherà di far passare per suo padrone, con conseguenze anche tragiche, essendo Huck troppo giovane, per non parlare del naufragio di un barcone a ruote.

Ecco insomma l'umanissima e avvincente storia vista da quell'ignorante, impaurito e superstizioso nigger (come scriveva Twain, riprendendo il lessico sudista del tempo) che si ribalta dal personaggio che tutto praticamente subisce cercando solo di sopravvivere a quello che si appropria appunto del linguaggio, delle parole e racconta come stavano le cose, cosa significasse essere un nero e uno schiavo, cosa fosse allora un padrone, non per accusare Twain di essere politicamente scorretto, come oggi si fa spesso con troppa facilità e senza pensare al contesto, ma per rimettere le cose a posto e offrire un romanzo che si riflette rovesciato in uno specchio, mostrando la sua vera immagine. 

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