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FURIO BORDON, 'ALBUM DEI RIMORSI' (LA NAVE DI TESEO, pp. 176 - 18,00 euro) - 'IL POETA E IL SUO MOSTRO' (SELLERIO, pp. 148 - 13,00 euro)
Con l'età che avanza, c'è come un bisogno di ripercorrere la propria vita, di farci i conti, e Furio Bordon è un maestro di sensibilità e leggerezza nell'affrontare questo tema, come dimostra il suo lavoro teatrale più premiato e di successo 'Le ultime lune' del 1995, su un anziano che finisce in una casa di riposo e che ebbe come primo interprete Marcello Mastroianni. Lo stesso vale per il vecchio professore di 'Stanze di famiglia' del 2016 e ora, meno puntato sulla fine, per le pagine e i protagonisti dei suoi due ultimi libri usciti a poca distanza l'uno dall'altro.
Nella bella invenzione con colpo di scena finale, visto che siamo in un teatro, de 'Il poeta e il suo mostro', il protagonista è Oscar Wilde in un curioso, emotivo incontro con Joseph Merrik, più noto come Elephant man, al quale confessa "Sono un mostro anche io", ricostruendo la distruzione della sua vita ricca e di successo dopo la condanna alla prigione per omosessualità e l'amore per lord Douglas. In 'Album dei rimorsi', facendo la tara per quanto vi è di letterario, è lo stesso scrittore, compiuti i fatidici 80 anni, a far affiorare i propri rimorsi rispetto a certi incontri e avvenimenti della sua esistenza. Tutto con un atteggiamento disincantato, asciutto, tenuto a bada con un'ironia e un filo di malinconia, come è evidente quando si definisce "il re dei dilettanti", sottolineando che "stare al mondo da esseri umani è faccenda impegnativa, ci riescono bene in pochi" e come diceva il protagonista delle Ultime lune: "La vita è proprio insensata. Il Padreterno, se ci amasse, dovrebbe farci nascere avvolti nel foglietto istruzioni per l'uso".
I rimorsi riguardano tutta la vita e si parte dagli anni di scuola, quando bullizza con gli amici il più povero della classe, anche se, facendo finta di essere suo amico per carpirne i segreti con cui dargli addosso, finirà per essere davvero creduto il suo unico vero amico e, anni dopo, si riscatterà dal senso di colpa con un gesto di pietà. Tra gli altri c'è poi Beatrice, ragazzina aggraziata ma dal brutto viso con naso da uccello, che lui deride pesantemente e, davanti alla sua flemma, cercherà di 'sporcarla' coinvolgendola in discorsi sulle sue recenti scoperte sul sesso, ottenendo come risposta: "Ti hanno raccontato un sacco di stupidaggini".
Il perno del libro, partendo da alcune foto ritrovate, sono quindi alcune figure di famiglia. Ecco la nonna, che lo ama sino al sacrificio perché i maschi di casa vanno sempre protetti, mentre lui non comprendeva la sua dedizione e la considerava "un specie di docile elettrodomestico". La fine è sempre sul filo dell'ironia e di una vena di malinconia nella maggioranza dei capitoli, ognuno dedicato a una persona. In questo, in cui la nonna è morta dopo essere uscita per comprargli dei biscotti: "Che fine hanno fatto?' - Non lo so, non ricordo - Sì, che ti ricordi - Credo di averli mangiati - Erano buoni?". Un dialogo, perché la vera invenzione da esperto commediografo del libro è una voce che incalza e interroga l'io narrante, senza essere quella inquisitoria e giudicante di un'entità superiore, ma piuttosto quella della sua coscienza, che vuole puntualizzare e costringerlo a riflettere a non far finta di niente.
La madre ha ovviamente un certo rilievo, donna che "stava su questa terra con allegria, pronta a ridere di tutto, a cominciare da se stessa", da cui Bordon ha ereditato un certo spirito che si fonde con quello tipico di tanta cultura triestina (basti pensare a Svevo) e che lo portava a teatro da bambino, passando da Edipo Re alla rivista di donnine e comici, spregiudicata e libera, pronta davanti alle difficoltà della vita e poi la vecchiaia col Parkinson e una demenza senile che la rende furiosa con tutto e tutti. Lui per quietarla causa un disastro nella sua bocca e un dente le rimarrà sporgente: "Solo in camera mortuaria non l'ho più visto, perché le avevano incollato le labbra per nasconderlo. Aveva riconquistato il suo decoro. - E tu? - Io il mio l'avevo perduto per sempre".
È il padre però il centro di tutto, col sogno giovanile di costruire un aereo, col suo gatto su una spalla, l'amore per i cavalli, al quale è dedicato il ricordo più lungo e e col quale l'autore misura tutta la propria inadeguatezza, specie per le omissioni durante la sua dolorosa malattia finale. Confronti che restituiscono un ritratto seducente a tutto tondo di genitori che "attraversavano la vita con leggerezza... e con incoscienza.
Ma alla fine avevano quasi sempre ragione loro". Sono pagine dalla scrittura diretta e che puntano ai sentimenti senza retorica alcuna, affabulatorie appena e che ci coinvolgono in vite e nella vita di chi narra, ricca e intensa in un gioco che non evita nulla, tra commedia e dramma.
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