Angela Merkel, che ha incontrato Mario Draghi e conosce le carte del presidente della Bce, prova a ridimensionare le attese: "non è la settimana decisiva per il destino dell'euro". Ma anche se Berlino gioca la carta del basso profilo e sottolinea ancora una volta che "la Bce prende le sue decisioni in autonomia", è chiaro che la Banca centrale europea, che giovedì deciderà sul 'quantitative easing', cioè sull'acquisto di debito pubblico creando moneta in funzione anti-deflazione, si appresta a prendere una decisione con ripercussioni pesanti. E che il braccio di ferro con la Bundesbank, che vorrebbe che il rischio del debito di ciascuno paese restasse confinato alla rispettiva banca centrale nazionale, è ancora aperto, tanto da vedere anche il Fmi schierarsi contro i desiderata di Berlino. E' certo che, giovedì, Draghi metterà al voto il 'QE'.
La conferma, ufficiale, il 19 gennaio è giunta dal presidente francese Francois Hollande, ancorché attraverso una gaffe istituzionale: "la Bce giovedì prenderà la decisione di acquistare debiti sovrani, ciò che darà liquidità importante all'economia europea". Da Hollande in giù, tuttavia, è una selva di indiscrezioni. I sessanta economisti sentiti dalla Bloomberg non hanno dubbi: nove su dieci si aspettano che il 22 gennaio il consiglio direttivo a Francoforte annuncerà un programma di acquisti di titoli da 550 miliardi di euro. In realtà è una stima media, che tiene insieme le previsioni di chi si aspetta 500 miliardi, la cifra circolata inizialmente, e chi sale a 750 e oltre. Con la possibilità che ai bond sovrani vengano affiancati altri titoli, come bond societari e sovranazionali che però dovrebbero giocare un ruolo minore. Nell'attesa le Borse marciano in territorio positivo e le migliori sono Milano (+1,17%) e Madrid (+1,18%) seguita da Francoforte (+0,7%), Londra (+0,5%) e Parigi (+0,3%). Lo spread Btp-Bund chiude a 122 punti base con il tasso Btp a 1,66%. Gli acquisti dovrebbero essere legati alla quota di ciascun Paese dell'Eurozona nel capitale della Bce. Una scelta che lascerebbe all'Italia una frazione del QE, espressa in percentuale del suo alto debito, fra le più basse. Ma il vero nodo attorno al 'quantitative easing' resta quello politico: con il mondo che sta a guardare, la Svizzera costretta a disancorare il cambio del franco e anche la Banca di Danimarca costretta ad allentare i tassi per stare al passo dell'euro vicino ai minimi di 11 anni (1,16 circa), i governatori continuano nel braccio di ferro su chi dovrà assumersi i rischi: se le banche centrali nazionali, ciascuna per sé, o la Bce in solido. Il tema, con la stampa tedesca sul piede di guerra (il presidente dell'Ifo Hans-Werner Sinn parla di un salvataggio dei Paesi del 'Club Med'), sarebbe stato al centro del colloquio Draghi-Merkel di mercoledì scorso a Berlino. Secondo lo Spiegel, per evitare un muro contro muro con la Bundesbank che sta continuando ad esercitare forti pressioni dell'ultimo minuto, Draghi avrebbe aperto all'idea di lasciare i titoli nazionali sui bilanci delle rispettive banche centrali. Ma l'ipotesi che rassicura la Bundesbank è stata ricevuta con un fuoco di sbarramento dai principali economisti mondiali. Il ministro dell'Economia italiano, Pier Carlo Padoan, e il governatore di Bankitalia Ignazio Visco sono stati fra i critici più espliciti.
E anche Draghi non ne sarebbe convinto: la Bce darebbe il segnale che l'ipotesi di un default nell'Eurozona non è poi così peregrina. Christine Lagarde, direttore generale del Fmi, oggi schiera la potenza di fuoco di Washington: più il QE è condiviso, dice, più è efficace. Potrebbe scaturirne un compromesso, una soluzione ibrida: con una parte del 'QE' che farebbe capo alla Bce, e una parte restante che vedrebbe i rischi restare alle banche centrali nazionali. Nell'ottica che, se QE deve essere, deve impressionare i mercati e quindi partire a pieno regime.
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