TEHERAN - Se altri Paesi europei come la Francia e la Germania hanno investito in Iran, nonostante le incertezze sul suo futuro ancor prima degli ultimi attacchi del presidente Usa Donald Trump, "le banche italiane finora non sono state molto coraggiose, hanno temuto conseguenze sui loro affari negli Stati Uniti". Maziar Khansari, vice-amministratore delegato dell'iraniana Herison Costruction Company, ha la passione del giovane imprenditore e l'impazienza di vedere diventare realtà i vari memorandum di intesa firmati con le società italiane, ma ancora fermi ai blocchi di partenza. "Le linee di credito con l'Italia sono come il letto di un fiume con una diga chiusa a monte - osserva parlando con l'ANSA - da cui sono passate solo poche gocce".
"Abbiamo avviato vari progetti, soprattutto con partner italiani, che con i francesi sono i più attivi nelle costruzioni - dice -. Ma ora tutto si è fermato, per i problemi con le banche e le linee di credito. Eppure di investimenti diretti dall'estero ve ne sono stati: davanti all'aeroporto c'è ora un Novotel, molte imprese hanno aperto i loro uffici in Iran e trasferito risorse e personale, e questo con transazioni dirette e legali, passate al vaglio della Banca centrale". E anche il circuito Swift funziona, sottolinea, mentre la francese Peugeot-Citroen e la tedesca Henkel in questi due anni sono già diventati direttamente operativi in Iran.
La Herison Construction è stata fondata da suo padre Javad Khansari, che per molti anni è stato anche alla guida dell'Associazione delle imprese private di costruzione iraniane (circa 30 mila in Iran, sottolinea) e dal 1968 ha realizzato una cinquantina di grandi progetti edilizi ed infrastrutturali in tutto il Paese. Ora è pronta a passare alla fase operativa per altri ancora, in partnership con gli italiani. Come due nuovi ospedali a Bandar Abbas e Isfahan, precisa Khansari, e nuove strutture aeroportuali come quelle di Tabriz, mentre Herison guarda anche al nuovo terminal di Isfahan. "Risorse sono state già investite per i progetti e per far venire i tecnici in Iran", evidenzia, ma a mancare, sottolinea, è il tanto atteso accordo tra i governi italiano e iraniano e la Banca Centrale di Teheran per sbloccare i tanti memorandum siglati finora. "Se ne parla da tempo, ma ancora non è accaduto niente", constata il giovane imprenditore.
Se "tra il 2015 e il 2016 avevamo grandi aspettative, e dopo l'accordo sul nucleare vi è stata una vera esplosione di interesse verso l'Iran", ricorda, Khansari ora sa bene che a gettare la sua ombra sul futuro è ora proprio Trump, che entro il 15 ottobre dovrà pronunciarsi sull'accordo tra Teheran e le potenze dei 5+1 fortemente voluto dal suo predecessore alla Casa Bianca. Ma mentre Trump attaccava in queste ultime settimane l'Iran, osserva ancora Khansari, "Rohani invitava la gente a venire qui e rendersi conto direttamente di come sia davvero il Paese", e l'Alto rappresentante Ue Federica Mogherini difendeva con fermezza quell'accordo multilaterale.
"Certo, le banche ora possono avere più paura - riconosce -, ma il secondo governo Rohani ha ancora quasi quattro anni davanti, che possono bastare perché le cose cambino". "Per lavoro vado in giro in tutto l'Iran - conclude - e continuo a vedere turisti europei dappertutto, alberghi e voli sono pieni". Segno dunque che l'Iran, nonostante Trump, non fa paura.
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