Quante volte è caduto, rivissuto, reinventato Helmut Berger (LA SCHEDA) che stamane se ne è andato nella sua casa di Salisburgo? Non ha fatto in tempo ad aspettare il suo compleanno (era nato a Bad Ischl, in Austria, il 29 maggio 1944) e probabilmente gli resterà il rammarico di non essere celebrato alla fine del festival di Cannes come riteneva gli fosse dovuto. Helmut Steinberger - questo il suo vero nome - veniva da una modesta famiglia di albergatori, ma si è sempre considerato un principe, la gemma più fulgida di quel teatro dell'apparenza che è il mondo dello spettacolo. Un mondo a cui, per paradosso, non ha mai fatto concessioni, dicendo sempre quel che pensava, anche se poteva costargli più ricchi contratti e amicizie potenti.
Da giovane per un breve periodo cercò di assomigliare al modello sognato dai genitori, ma già dava scandalo per l'ostentata bisessualità, inaccettabile nella pudibonda e tradizionalista Austria degli anni '50. Se ne partì allora per Londra appena compiuti i 18 anni, trovando piccoli lavoretti e facendosi notare come modello. Era bellissimo, un vero arcangelo dai capelli biondi, l'alta statura, il fisico apollineo e lo sguardo profondo, ma anche Londra era troppo poco per la sua fame di vita. Così sbarcò in Italia, prima a Perugia a studiare lingue (ne parlava correntemente quattro), poi a Roma tra servizi fotografici e qualche esperienza di set. Qui incontrò Luchino Visconti mentre girava Vaghe stelle dell'orsa (1964) e nacque un sodalizio sentimentale, professionale, intellettuale che sarebbe durato fino alla morte del regista nel 1976.
Visconti lo fece debuttare in "Le streghe" (1967), gli offrì l'opportunità da istrione ("La caduta degli dei"), il ruolo memorabile ("Ludwig"), quello più amato ("Gruppo di famiglia in un interno"). Nonostante il carattere possessivo del suo pigmalione e la forza del loro legame, Berger trovò lo spazio per altre esperienze: fu Dorian Gray per Massimo Dallamano, Alberto dei Finzi Contini per De Sica, Arconati ne "La colonna infame" di Nelo Risi, il seduttore di Liz Taylor in "Mercoledi delle ceneri" di Larry Peerce, il poeta seduttore di "Una romantica donna inglese" di Joseph Losey, Helmut in "Salon Kitty" di Tinto Brass.
La morte di Visconti fu per il giovane amante un lutto drammatico tanto che, in eccesso di stupefacenti, rischiò la vita poco dopo e raccontò spesso che era stato un tentato suicidio. Ciò nonostante la sua carriera procedette spedita all'incredibile ritmo di almeno un film all'anno, una media che tenne, tra eccessi, polemiche, crolli fisici fino alla fine del secolo. Era disgustato dal cinema commerciale che spesso faceva ricorso al suo carisma tra Italia e Francia. Eppure in questo tratto di strada ebbe registi importanti come Claude Chabrol ("Fantomas"), Francis Coppola ("Il Padrino III") e un buon successo personale ritornando al suo personaggio iconico in "Ludwig 1881" di Donatello Dubini e Fosco Dubini.
Nel 2004, provato dall'alcool, amareggiato, in difficoltà economica fece ritorno in Austria per seguire la madre malata. Quando la donna morirà 5 anni dopo, Helmut sarà in ospedale a sua volta. Da lì in avanti la sua carriera si spezza né valgono ritorni sporadici come un ruolo in "Dinasty" ("piangevo andando sul set, ridevo tornando a casa la sera") o momenti di gloria come l'apparizione a Cannes per il "Saint Laurent" di Bertrand Bonello. In compenso è fuori dal cinema che diventa una leggenda: Andy Wahrol ne ha fatto un'icona pop con i suoi scatti, Helmut Newton divulga le foto del giovane "arcangelo" Berger, Madonna ne fa l'idolo dei suoi video "Erotica" e "Sex" degli anni '90, Quentin Tarantino gli rende omaggio in "Jackie Brown", su di lui si girano due documentari (il primo sconfessato dal protagonista), si cimenta a teatro con la regia di Albert Serra.
Di lui disse, con la consueta ironia al vetriolo Billy Wilder parlando de "La caduta degli dei": "ad eccezione di Helmut Berger non ci sono altre donne interessanti al giorno d'oggi". Probabilmente Helmut sorrise. Sofferente da tempo ai polmoni l'attore aveva annunciato il suo ritiro nel 2019, ma come la fenice ha certamente sognato fino all'ultimo di risorgere dalle sue ceneri. Nella sua autobiografia si vantava di aver avuto storie con una lista infinita di star: da Rudolf Nureyev a Britt Ekland, Ursula Andress, Nathalie Delon, Florinda Bolkan, Linda Blair, Marilù Tolo, Jerry Hall, Bianca e Mick Jagger. Miguel Bosé. Per lui verità e leggenda erano una cosa sola e ancora ne parlava, appesantito e sfinito, negli ultimi anni.
Trailer del film Ludwig
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