Dalla mappa del voto referendario emerge una Turchia ben diversa rispetto alle ultime elezioni politiche e amministrative. Ad assicurare la vittoria risicata del 'sì' (51,4%) è l'Anatolia profonda, feudo islamico conservatore, insieme alla scossa nazionalista degli emigrati. Ma in Turchia, dopo anni tutte le grandi metropoli voltano le spalle a Erdogan. A partire dalla sua Istanbul, dove il 'no' ha vinto con il 51,3%. Anche nella capitale Ankara, governata da più di vent'anni dal suo Akp, la riforma è stata respinta dal 51,1% dei votanti.
E se non sorprende il plebiscito anti-Erdogan (68,8%) nella laica Smirne, terza città del Paese, uno dei colpi più duro arriva da Antalya, altra città governata dal suo partito e importante centro turistico sul Mediterraneo, dove i 'no' sfiorano il 60%. Quasi nullo è stato l'apporto della coalizione con i nazionalisti del Mhp. Contro il presidenzialismo hanno votato in massa anche i curdi nel sud-est, dalla 'capitale' Diyarbakir (67,5%) ai centri più colpiti dalla guerra al Pkk, come Hakkari e Sirnak.
A salvare Erdogan sono stati i suoi fedelissimi sul mar Nero (75,5% nella provincia di Rize, da cui proviene la sua famiglia) e le 'tigri anatoliche', da Konya a Kayseri. Un capitolo a parte merita il voto all'estero. L'infuocata campagna anti-Ue di Erdogan, costata duri scontri diplomatici con vari Paesi, Germania e Olanda in testa, ha pagato. Tra gli emigrati, il 'sì' ha vinto nettamente con il 59,4%. In Germania, dove ha votato circa la metà del milione e 300 mila turchi che si sono recati alle urne all'estero, il sostegno a Erdogan ha raggiunto il 63%. Ancora meglio gli è andata in Francia (64%), mentre in Olanda, Belgio e Austria ha sfondato la soglia del 70%. Ha invece vinto nettamente il 'no' negli Usa (83,8%) e in Italia (62%), dove però hanno votato solo poco più di 5 mila turchi.
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