Trentasei persone e una quindicina di vetture, tra ambulanze e minibus. Una carovana che in meno di cento ore è partita da Roma per arrivare a Leopoli e tornare indietro: è stata la prima missione umanitaria della Croce Rossa italiana e la prima evacuazione dall'Ucraina al nostro Paese dei profughi di questa guerra. Un centinaio di persone sono state recuperate in un ospedale situato nel distretto di Sykhivskyi, nella parte meridionale di Leopoli. Ma gli ucraini recuperati dalla Cri provengono da ogni parte del Paese: Kharkiv, Dnipro, Lutsk, Kiev. Tutti con delle fragilità o con delle malattie croniche. Anziani, bambini, diversamente abili. Tutti con lo shock della guerra nei loro occhi. Al Dzherelo Rehabilition Center sventolano la bandiera ucraina e quella europea. Lo staff della Croce Rossa sta ultimando i preparativi prima di tornare in Italia. Un lungo viaggio aspetta infermieri, medici, evacuati. Ma nei visi di questi ultimi c'è anche spazio per un sorriso. Se mi fa piacere andare in Italia? "L'Italia è il paradiso!". Tania non può più camminare ma, un tempo era una sportiva. E' arrivata terza nelle gare nazionali di tiro al bersaglio.
Viene da Lutsk e ha voglia di fare due chiacchiere, lingua permettendo. "A Lutsk eravamo in un centro, non siamo stati bombardati ma c'erano colpi di mortaio ovunque", racconta all'ANSA allargando le braccia. Lutsk è nel Nord, tra Leopoli e il confine bielorusso. "In città era pieno di militari di Minsk", spiega Tania. A fianco a lei ecco Sergei, di Kharkiv. Anche lui in sedia a rotelle, anche lui con lo sguardo di chi sa che, nella propria patria, forse non tornerà mai più. E' arrivato a Leopoli con la moglie e il figlio Vlady. Lui, in ossequio alla legge marziale, non potrà partire ma si dice "sollevato" per aver messo in salvo padre e consorte. A condurre la missione è stato Ignazio Schintu, direttore Operazioni, emergenze e soccorsi della Cri. Un'esperienza che va dall'Iraq a Haiti. "Nessuno di noi era pronto a una cosa del genere, ma ci stiamo muovendo. Le persone hanno bisogno di fiducia, queste operazioni possono aiutare a riprendere quantomeno la vita normale", spiega Schintu. Si dice sorpreso dall'atmosfera di Leopoli. "La sua calma è la cosa che più colpisce, essendo in un conflitto. Alla frontiera con la Romania non è così, per 50 chilometri non abbiamo visto altro che barricate", racconta. Ma la paura esiste. E si vede anche nelle cartelle cliniche degli evacuati.
"In tanti sono ipertesi, ed è una patologia che prima non riscontravano. Molto dipende dalla situazione di stress vissuta", annota Schintu. Lo stress di chi, come la giovane Alessia, lascerà suo marito in Ucraina per mettere in salvo la nonna Oksana, in sedia a rotelle. La partenza della carovana avviene in una domenica assolata e di relativa calma. Le strade di Leopoli sono gremite così come le chiese. A poche centinaia di metri dalla struttura utilizzata dalla Cri, tra i grigi condomini di origine sovietica ecco la Chiesa della Natività della Beata Vergine, enorme e con le sue cupole dorate. Una fila interminabile attende di poter entrare nell'edificio. "E' la liturgia della domenica ortodossa", spiega una donna. Dagli altoparlanti della chiesa una voce elenca le città ucraine conquistate dai russi, distrutte o sotto assedio: Mariupol, Kharkiv, Lugansk...L'elenco è lungo ma a Leopoli sperano che finisca qui.
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