La crisi del grano, bloccato in Ucraina, sarà di nuovo al centro di contatti tra Ankara, che da settimane si è proposta come mediatore, Mosca e Kiev. Il presidente turco Erdogan è pronto a risentire, già in settimana, Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky "per affrontare la questione", dopo il fallimento a Istanbul dell'incontro con il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov che, qualche giorno fa, era volato nel Bosforo. "I negoziati sono in corso" e "discuteremo quali passi si potranno fare", ha detto Erdogan, annunciando di volerli chiamare a stretto giro. Intanto Kiev prova a sbloccare, almeno in parte, l'export dei suoi cereali aprendo due corridoi via terra, uno verso la Polonia e l'altro verso la Romania.
Tentando di attivarne anche un terzo con i baltici. Il trasporto via terra consente esportazioni limitate, ben al di sotto dei flussi in tempi normali, ma è la strada su cui sta lavorando anche l'Ue in attesa di possibili sviluppi nelle trattative con Kiev e Mosca per sbloccare i porti. A Bruxelles si punta soprattutto sulla 'carta Romania' utilizzando la regione del Delta del Danubio, che confina con il distretto di Odessa, per fare uscire il grano dall'Ucraina usando i canali navigabili. Un'opzione ventilata anche nel corso della visita lampo della presidente Ue, Ursula von der Leyen, questo weekend a Kiev, in vista del via libera che la commissione si appresta a dare allo status di candidato dell'Ucraina. Ma non senza incognite: "La sfida è una posizione unitaria che rifletta la grandezza di queste decisioni". Prima di scendere dal treno che da Kiev l'ha riportata in Polonia, von der Leyen ha voluto ribadire un concetto che, da qui al Consiglio europeo del 23 e 24 giugno, sarà anche uno schema di lavoro. E lo schema, in fondo, è semplice: riunire i 27 Paesi membri attorno al sì all'Ucraina. Semplice ma, facendo due conti, al momento impossibile. Almeno 5 capitali sono contrarie alla concessione dello status a Kiev. Altre sono indecise. Ma da qui a ai prossimi giorni tutto può succedere. E la missione in preparazione nella capitale ucraina da parte di Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Mario Draghi, potrebbe essere un cruciale punto di svolta. Von der Leyen e Volodymyr Zelensky, nel lungo incontro nel compound presidenziale a Kiev, sono stati piuttosto sinceri.
La presidente della Commissione ha elencato i tanti campi in cui l'Ucraina ha centrato i target europei e, allo stesso tempo, ha puntualizzato i non pochi punti sui quali, per aderire all'Ue, non potrà non impegnarsi. "Il mio auspicio è che, fra vent'anni, potremo dire di aver preso la giusta decisione", ha sottolineato von der Leyen. Zelensky, ancora una volta, ha ribadito l'importanza di un simile gesto da parte dell'Ue: "Tenerci fuori dall'Ue va contro la stessa Europa", ha scandito in un videomessaggio. Rivolgendosi soprattutto ai Paesi più scettici: Danimarca, Svezia e Finlandia, ma anche Portogallo e, in misura minore, Germania e Austria. Lunedì i commissari faranno un primo giro d'orizzonte sul parere dell'esecutivo europeo. Venerdì la Commissione varerà la sua raccomandazione "nel merito". Da lì in poi a regnare sarà la politica. Incontrando alcuni cronisti, tra cui l'ANSA, a Kiev, Danylo Getmantsev, ha ricordato tuttavia che il sì all'Ucraina non è solo una decisione politica. "L'appartenenza europea del nostro popolo è uno dei motivi di questa guerra. Un no sarebbe una enorme delusione", ha spiegato Getmantsev, che oltre ad essere uno dei 'big' del partito di Zelensky è a capo della commissione Finanze della Rada ed è il segretario del Consiglio Nazionale per la Ricostruzione. Questo organo fondamentale, che si avvale di politici, esperti e membri della società civile, può essere una delle chiavi per l'avvicinamento dell'Ucraina all'Ue. Bruxelles punta a basare la road map della ricostruzione del Paese su transizione, digitalizzazione e resilienza (a cominciare da quella delle istituzioni). Tutti punti che, allo stesso tempo, avvicinano Kiev all'Ue. "Grazie alla guerra possiamo finalizzare la nostra lotta agli oligarchi", ha promesso Getmantsev.
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