"Sono stato a Lysychansk qualche giorno fa. È sotto un bombardamento pesante e continuo. La città è circondata, vogliono che diventi la loro prossima Mariupol. Chi è rimasto chiede farmaci per curare lo stomaco perché l'acqua è sporca e la gente si ammala. Le persone sono disperate".
Padre Oleh Ladnyuk, salesiano di Dnipro (nell'Est dell'Ucraina), offre la sua testimonianza diretta sulla situazione della città gemella di Severodonetsk parlando con l'Agenzia Sir, organo d'informazione della Cei. "Nessuno sa quante persone siano ancora a Lysychansk", spiega, "vivono sottoterra. Cercheremo di entrare di nuovo in città, mi sto preparando per questa possibilità. I residenti in tutta la regione del Donbass sono sotto costante attacco. Chiedono soprattutto acqua potabile e medicinali. L'acqua si può trovare solo in luoghi ormai molto pericolosi". Per molti di loro la situazione è senza uscita: fuori dalla loro casa, non hanno dove rifugiarsi. "Quando dico alle persone di venire via con me, si rifiutano. Rispondono che non hanno un altro posto dove andare, che non hanno più soldi. La cosa più importante è che gli anziani, soprattutto quelli disabili o malati, che non possono essere spostati, hanno bisogno di essere assistiti. Ma le case di cura e i centri di accoglienza di Dnipro sono sovraffollati", racconta.
Ma negli ultimi giorni, anche se i civili rimasti avessero voluto sottrarsi alla furia dei raid, non avrebbero potuto. Venerdì il governatore regionale del Lugansk Sergey Gaidai in un video su Telegram ha detto che la situazione è diventata troppo pericolosa, le bombe arrivano da tutte le direzioni ed evacuare i civili è diventato impensabile.
Tutta la regione è sotto attacco russo, e tuttavia neppure chi vede con i propri occhi quanto è difficile la situazione vuole dichiarare morta la speranza: "I nostri soldati devono resistere, perché sanno che se i russi prendono Lysychansk, poi avanzeranno ancora", dichiara con forza il padre salesiano che da quando è scoppiata la guerra si è trasferito a Dnipro per garantire l'accesso agli aiuti umanitari alle comunità del Donbass con minivan carichi di cibo e medicine. In due mesi è riuscito a portare in salvo 500 persone.
Quando il religioso raggiunge i villaggi, le storie sono quasi sempre le stesse: "Guarda, laggiù è morto qualcuno". "Non abbiamo medicine". "La persona che vive lì ha il diabete, ha bisogno urgente di insulina", dicono. "Ho portato le medicine per l'asma in un piccolo villaggio ora occupato dai russi" e "non so come se la caveranno d'ora in poi, visto che non potrò più andarci. Non avrei mai pensato di vivere una situazione così nel mondo di oggi. Le bombe cadono in continuazione, distruggono tutto. È terribile".
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