Le Forze di mobilitazione popolare irachene (Pmf), Hashed al-Shaabi in arabo, obiettivo dell'attacco in Iraq della scorsa notte, sono una milizia sciita inquadrata nello Stato quasi 10 anni fa in funzione anti-Isis e diventata una potente forza di pressione dell'Iran sulle vicende irachene. Si stima che ne facciano parte 230.000 combattenti circa, divisi in vari comandi provinciali.
Ufficialmente create nel giugno del 2014 dall'allora premier iracheno Nouri al Maliki nei giorni in cui i militanti dello Stato Islamico catturavano con facilità Mossul, le Pmf raccolgono vari gruppi militari sciiti preesistenti, tutti dediti alla lotta agli jihadisti sunniti. Raggruppa 67 ex fazioni armate, a stragrande maggioranza sciita, ma anche con qualche elemento sunnita e yazida.
L'imput cruciale fu, alla caduta di Mossul, la fatwa del leader religioso sciita iracheno Ali al-Sistani che ordinò a tutti i cittadini "in grado di prendere le armi" della maggioranza sciita del Paese di "combattere i terroristi", di "arruolarsi come volontari per raggiungere il sacro obiettivo" contro il pericolo mortale dell'Isis. Parallelamente, l'Iran mobilitò le forze speciali Al-Qods dei Guardiani della Rivoluzione, sotto il comando di Qassem Soleimani (ucciso da un drone Usa a Baghdad nel gennaio 2020) schierandole in Iraq. Le due forze hanno interagito spesso, sebbene sotto comando diverso.
Nel 2016 le Pmf sono state inquadrate per legge come entità indipendente, separata dall'esercito, dai ministeri di Difesa e Interni e facenti capo direttamente al primo ministro. Largamente infiltrate dagli uomini al comando di Soleimani, le forze di mobilitazione popolare sono diventate progressivamente una forza di interposizione, un 'proxy' di Teheran a Baghdad.
Secondo l'Institute for the Study of War (Isw), "le Pmf permettono a Teheran di perseguire i propri obiettivi in Iraq, mascherando al contempo il proprio coinvolgimento" ma "condizionando soprattutto la politica di sicurezza irachena".
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