"Nessun motivo militare e nessuna giustificazione: è un crimine di guerra, non un errore". La rabbia è talmente tanta che il governo italiano, attraverso le parole del ministro della Difesa Guido Crosetto, affiancato dal comandante del Comando operativo delle forze armate Francesco Figliuolo nella sala stampa di Palazzo Chigi, usa toni mai avuti prima nei confronti di Israele. Ma sono parole proporzionate ad un attacco, quello dell'Idf alle basi italiane dell'Onu in Libano, che non ha precedenti. Sono ore che il titolare della Difesa attende spiegazioni da Tel Aviv affinché venga chiarito quanto è successo: fin da quando mercoledì sera i militari regolari hanno colpito e distrutto le telecamere e altri sistemi di videosorveglianza negli ultimi due avamposti dei nostri caschi blu a Naqoura.
Dopo aver informato Giorgia Meloni, Crosetto ha chiamato l'amico e omologo Gallant protestando: "E' inaccettabile", ha detto prima di ribadire la gravità dei fatti anche ai vertici dell'Onu. Il monito non è bastato e, nonostante i tentativi di rassicurazione, altri colpi hanno raggiunto l'interno della base mentre i peacekeeper italiani erano nei bunker. Dopo aver messo al corrente dei fatti anche il Consiglio dei ministri, è stata la volta dell'ambasciatore israeliano Jonathan Peled, convocato d'urgenza: "riferisca a Nethanyahu che le Nazioni Unite e l'Italia non possono prendere ordini dal governo israeliano".
A quel punto anche palazzo Chigi formalizza il disappunto, con parole nette: "Quanto sta accadendo nei pressi della base del contingente Unifil non è ammissibile", fa sapere lo staff di Giorgia Meloni che, in costante contatto con il ministro degli Esteri Antonio Tajani e lo stesso Crosetto, esprime "forte vicinanza ai nostri militari". Anche il numero uno della Farnesina ribadisce che quanto è successo "è inaccettabile", distinguendo però "episodi diversi" e accaduti anche "parecchi giorni fa" e poi specificando le sue rimostranze al collega Katz "fin dal primo giorno".
Nell'attesa di ricevere chiarezza, a puntualizzare è ancora il ministro della Difesa, che accanto al capo a Figliuolo mette pubblicamente da parte qualsiasi atteggiamento diplomatico: "Non esiste la giustificazione di dire che le forze armate israeliane avevano avvisato Unifil del fatto che alcune delle basi dovevano essere lasciate". Poi l'accusa più pesante: "Gli atti ostili compiuti e reiterati dalle forze israeliane potrebbero costituire crimini di guerra, si tratta di gravissime violazioni alle norme del diritto internazionali, non giustificate da alcuna ragione militare". Dunque "non si è trattato di un errore né di un incidente" e per questo "abbiamo bisogno di avere spiegazioni reali nei tempi più rapidi possibili". Anche l'opposizione chiede di fare luce e la segretaria del Pd Elly Schlein chiede all'esecutivo di riferire con urgenza per "accertare le responsabilità", così come il leader Cinque Stelle Conte aggiunge: "fermiamo la follia di questa escalation".
Sullo sfondo resta il punto interrogativo che induce a chiedersi cosa resta della missione Unifil, una volta superata l'ennesima linea di tolleranza. "Abbiamo preparato piani di contingenza per qualsiasi avvenimento, accelerando i tempi di intervento se necessario", ma - spiega Crosetto - ritirare il contingente dal Libano "non è una scelta nazionale, è una scelta dell'Onu e ci rifletteranno i quaranta Paesi contributori. La mia intenzione - continua - è di far prevalere spazi di pace, non far passare l'idea che possa esserci una continua guerra".
La risposta di Israele sembra però andare in senso opposto a quello chiesto dall'Italia. Tel Aviv non solo chiede all'Onu, attraverso il suo ambasciatore alle Nazioni Unite, di spostarsi 5 chilometri a nord "per evitare pericoli", ma rivendica con l'Idf di "aver ordinato" alle forze multinazionali di rimanere "in spazi protetti". Concetto ribadito proprio dall'ambasciatore israeliano a Roma: "abbiamo raccomandato più volte ai militari italiani di ritirare parte delle loro forze ma purtroppo la richiesta è stata respinta". Muro contro muro, dunque, con la diplomatizia in fase di stallo: l'Italia non scusa Israele e Tel Aviv non intende giustificarsi. Al centro resta Unifil con i suoi caschi blu, che non intende arretrare di un centimetro.
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