Una settimana dopo lo tsunami di fango provocato dalla Dana che ha sepolto 70 comuni della provincia di Valencia, cancellato almeno 221 vite e messo in ginocchio quasi un milione di persone che vivono nell'area - un terzo della popolazione della regione - il fermo immagine è su morte, distruzione e caos.
Ma anche sulla straordinaria solidarietà e voglia di riscatto delle popolazioni colpite.
La Polizia Nazionale e la Guardia Civil, in collaborazione con i medici legali, hanno riferito di 89 casi di persone scomparse per le inondazioni che hanno colpito la provincia di Valencia il 29 ottobre. Lo riporta la Efe citando i dati del Centro Integrazione Dati (Cid). I casi - si precisa - corrispondono esclusivamente a denunce in cui i parenti hanno fornito informazioni e campioni biologici che consentano la successiva identificazione, ha riferito la Corte Superiore di Giustizia della Comunità Valenciana.
Il Cid segnala che è importante evidenziare che i casi attivi segnalati nelle denunce non equivalgono al numero totale dei dispersi nella catastrofe, perché possono essercene altri non ancora denunciati. Inoltre questi 89 casi devono essere incrociati con il numero delle vittime già ritrovate e sottoposte ad autopsia nell'Istituto di medicina legale ancora non identificate, che sono 62. Secondo l'ultimo bilancio del Cid, i medici legali hanno effettuato 195 autopsie dei corpi finora recuperati e trasferiti alla morgue della Città di Giustizia di Valencia.
Dalla marea di fango intanto continuano a riaffiorare resti umani. Alcuni a chilometri di distanza, come i tre corpi recuperati nel parco naturale della Albufera a valle dei municipi colpiti dalle inondazioni, nella vasta laguna, battuta palmo a palmo da una trentina di sub della guardia civile, con l'aiuto di cani molecolari. E' la conca interna, prima della foce nel mare, in cui confluiscono i torrenti del Poyo o di Chiva, trasformati dalle piogge alluvionali del 29 ottobre in uno tsunami di acqua e fango che ha distrutto al passaggio Chiva, Torrent, Catarroja, Paiporta e Picana, interi paesi e tutto ciò che hanno trovato sul loro corso.
Alcune delle carcasse delle 90.000 auto travolte dal muro di acqua sono finite nella risaia del parco naturale che comprende numerosi del comuni devastati dalle inondazioni. Sono state chiuse le spiagge del litorale di Valencia, alla foce del nuovo corso del fiume Turia, dove domenica erano apparsi i corpi di altri tre 'desaparecidos', e limitata la navigazione sulla costa. La nave oceanica 'Ramon Margalef', si unirà alle ricerche con la polizia Scientifica.
Nessun corpo è stato invece ritrovato nel maxi parcheggio del centro commerciale Bonaire di Aldaia, come ha confermato Francisco Pardo, il direttore generale della polizia membro del comitato di crisi della Moncloa, che ha lamentato la disinformazione diffusa. Una settimana dopo la maggiore catastrofe di questo secolo in Europa, nelle zone colpite c'è ancora chi non ha acqua potabile e sogna una doccia, mentre le autobotti la distribuiscono in bottiglia, perché anche quella dei rubinetti, con molte condotte fognarie saltate, può non essere potabile.
L'allerta sanitaria resta alta per il rischio di malattie infettive, febbre, diarrea affezioni gastrointestinali, come ha spiegato Pedro Gullon, direttore generale di Salute pubblica. I cumuli di spazzatura, detriti e ammassati e le pozze putride sono focolai di batteri, anche se le autorità tendono a escludere rischio di colera. Nelle località travolte dal fango il 98% delle forniture di luce e il 93% di quelle dell'acqua è stato ripristinato. Più difficile ristabilire le telecomunicazioni. Accade che il filo sottile fra la disperazione e la speranza possa essere anche una strada finalmente ripulita dall'esercito, che libera dall'isolamento e ristabilisce il collegamento alla provinciale e a Valencia, pianeta a parte a un pugno di chilometri.
E' il caso di Picana, dove il fiume in piena ha travolto 4 dei 5 ponti, a poche centinaia di metri da Paiporta, ground zero della catastrofe. "Oggi si comincia a vedere un po' di luce perché sono arrivati militari dell'Ume con i mezzi pesanti e hanno liberato la strada principale, ora non siamo più isolati", dice all'ANSA Maria Mata, 48 anni. "Una settimana fa ci siamo risvegliati in un film dell'orrore", ricorda. "Se non ci fossero stati questi ragazzi venuti ad aiutare, saremmo rimasti abbandonati. Lo Stato è arrivato tardi" aggiunge, indicando decine di volontari che continuano a spalare melma e a svuotare cantinati e negozi dai mobili marci. Juan Zampieri, argentino, proprietario del ristorante Santelmo di Valencia, da una settimana paga di tasca sua per offrire 600 pesti caldi al giorno.
"Valencia mi ha dato molto in 30 anni, sono qui per restituire quanto ricevuto", segnala. Con le scuole chiuse, i negozi distrutti, nessun servizio disponibile, nella vicina Paiporta anche una pseudo normalità resta un'utopia. "In alcune zone ancora non siamo potuti arrivare per il terreno troppo instabile", dice Javier Arangio, tecnico di un'impresa elettrica. "La rabbia della gente qui è esplosa perché abbiamo bisogno di più aiuti. E' stata la sensazione di impotenza a scatenare le proteste contro i monarchi, Pedro Sanchez e il governatore Carlos Mazon", segnala Isabel Martin, in passato sindaco della cittadina, che finora ha registrato il più pesante bilancio di vittime.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA