(di Maurizio Salvi)
"Emergenza umanitaria senza
precedenti", "Situazione esplosiva", "Totale collasso
istituzionale": Così è ormai descritta la crisi che attanaglia
Haiti, Paese raffigurato come una nave alla deriva senza
comandante. In questo scenario tragico, in cui metà della
popolazione non riesce ad alimentarsi degnamente e ha
nell'emigrazione l'unica speranza, opera da 25 anni Fondazione
Avsi, una organizzazione della società civile con quartier
generale a Milano.
"Si fa fatica a indicare una gerarchia delle tante emergenze
esistenti", ammette all'ANSA Flavia Maurello, milanese di 35
anni, direttore di Avsi ad Haiti, dove ha uno staff di oltre 300
membri.
"Il nostro programma più importante - spiega - è quello di
'protezione umanitaria' che sviluppiamo nelle bidonville della
capitale. Cerchiamo di rispondere ai bisogni primari della
popolazione, in balia dei movimenti migratori prodotti dalla
violenza. E ci occupiamo principalmente, di donne e bambini".
"L'emergenza sanitaria - assicura - è il tema peggiore per la
gente. Molti ospedali sono stati distrutti o non funzionano per
assenza del personale". In più, "mancano le medicine, tutte
importate, e alcune, per la paralisi del porto, sono
introvabili".
"Le scuole poi sono chiuse da un mese a Port au Prince, "in
una situazione gravissima. Il sistema educativo funziona a
singhiozzo. I giovani perdono anni di istruzione. In alcuni
quartieri gli edifici scolastici sono stati distrutti. E la
situazione è drammatica nelle zone più umili della capitale".
C'è anche "un'acuta crisi alimentare: Haiti produce solo il
40% del cibo che consuma, manca l'acqua potabile, e sono al
minimo le riserve di carburante, che viene importato per il 100%
dall'estero.
"Pur essendo Haiti un Paese dei Caraibi, non esistono energie
alternative, per cui perfino i ripetitori dei segnali telefonici
funzionano con carburante. Se non ne ricevessimo più, sarebbe la
paralisi delle telecomunicazioni".
Commentando l'abbandono delle campagne, Maurello spiega che
"molti dei beni primari che potrebbero essere prodotti qui non
lo sono perché c'è la concorrenza di quelli importati".
"Spesso - conclude - si tratta di prodotti di scarto. C''è
una polemica su riso scadente arrivato dagli Usa con un prezzo
più basso di quello locale. Una concorrenza micidiale perché il
riso qui si raccoglie ancora a mano, quindi ha costi più elevati
e quantità minori della produzione industriale".
Riproduzione riservata © Copyright ANSA