23 LUGLIO I soccorritori a Sajaya, "sembra un terremoto" - Fra le decine di migliaia di sfollati, la voce si è sparsa come un fulmine: la Croce Rossa internazionale, avevano appreso, è riuscita ad ottenere oggi da Israele una tregua umanitaria di due ore per poter finalmente entrare a Sajaya (teatro fra sabato e domenica di una battaglia di sette ore, con decine di morti e centinaia di feriti) e soccorrere persone che fossero rimaste intrappolate fra le macerie. Fin dalle prime ore della mattina, migliaia di persone sono confluite all'ospedale Shifa di Gaza per assistere alla partenza delle squadre del servizio 101 della Mezzaluna Rossa palestinese e per accogliere il loro arrivo, al ritorno della missione. E' stata per tutti una giornata di strazio. La tregua è stata rinviata di ora in ora, mentre da Sajaya giungevano gli echi di nuovi combattimenti e del bombardamento dell'ospedale Wafa che - secondo Israele - era stato preso in mano da miliziani palestinesi. Al ritorno allo Shifa, uno dei soccorritori ha gelato tutti con una frase lapidaria: "Quel quartiere sembra essere stato investito da un terremoto". Quella odierna è stata un'ulteriore giornata di combattimenti che ha visto il numero dei morti salire a 680 e i feriti a 4200. La battaglia più grave, secondo informazioni frammentarie, è avvenuta a Khuzaa, un'area agricola vicino a Khan Yunes, nel Sud della striscia. Fonti locali hanno riferito che dieci cadaveri sono stati recuperati dalla zona dei combattimenti, mentre molti altri potrebbero essere rimasti sul campo. Forte impressione ha provocato il bombardamento dell'ospedale Wafa, ai margini di Sajaya, e a poche centinaia di metri dal confine con Israele. L'equipe medica e gli ultimi pazienti, fra cui persone in coma, sono stati evacuati a quanto pare la scorsa notte. In questi giorni Israele ha avvertito più volte lo staff medico che doveva allontanarsi perché, secondo l'esercito, dal suo perimetro "si sparavano razzi". Affermazioni che sono state accolte a Gaza con totale scetticismo, dopo che nei giorni scorsi il fuoco israeliano ha centrato un altro ospedale, a Deir el-Balah. In particolare c'era oggi preoccupazione per la sorte di 10 volontari stranieri che al momento del bombardamento del Wafa potevano essere rimasti nella struttura, come scudi umani. In seguito si è appreso che erano riusciti a fuggire all'ultimo momento, mentre piovevano le prime granate dell'artiglieria israeliana. In questo clima esasperato, la folla che si era radunata allo Shifa ha atteso per tutta la giornata che le squadre di soccorso partissero per le zone di combattimento (Kuzaa, Sajaya e Beit Hanun) per assistere i feriti e recuperare informazioni sui loro congiunti dispersi da domenica. Ma presto si è capito che Israele non avrebbe permesso l'ingresso di ruspe, né di vigili del fuoco, né di giornalisti. Solo nel pomeriggio le squadre del 101 sono potute entrare in quelle aree, ma prive di mezzi di soccorso veri e propri. Non potevano in alcun modo assistere chi era forse prigioniero sotto le macerie. "E' stata una missione tanto sconvolgente quanto frustrante", ha raccontato uno dei soccorritori. In definitiva agli ospedali Shifa, Kamal Adwan e Nasser sono giunti solo un piccolo numero di feriti e alcune donne in fase avanzata di gravidanza raccolte da quartieri vicini. All'arrivo di ogni ambulanza la folla si lanciava in avanti nella speranza di sbirciare al suo interno e di vedere magari un volto noto. Ma ogni volta la frustrazione era cocente. Otto ore sotto il sole, nella ressa, senza poter bere un sorso d'acqua, per le imposizioni islamiche del Ramadan. Il centro di Gaza è diventato intanto un grande accampamento di sfollati. Chi non ha niente di meglio ha steso materassi sui marciapiedi e vive per strada. Nella piazza del Milite Ignoto, in piena Gaza, massaie diligenti hanno fatto oggi il bucato in strada e hanno steso i loro panni ad asciugare su una cancellata. Alla loro vista, il cuore dei passanti si stringe. La sera file di persone raggiungono gli sfollati con pentole fumanti per offrire loro un pasto caldo e un barlume di solidarietà umana. Nel frattempo la leadership di Hamas ostenta fiducia sul fatto che sarà possibile ottenere un cessate il fuoco che consenta alla popolazione di Gaza la rimozione di un blocco imposto sette anni fa e la fine degli attacchi israeliani. Ad accrescere la fermezza dei dirigenti di Hamas vi sono prime intese raggiunte con il presidente palestinese Abu Mazen circa finanziamenti che dovrebbero giungere da Ramallah alle famiglie di Gaza per le perdite subite durante il conflitto. Ma la gente della strada ormai non si interessa più dei dettagli diplomatici delle intese: basta che cessi il fuoco, dicono, che questa catastrofe abbia finalmente fine.
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