Lunedì non era ancora finita la paura sui mercati per la crisi della lira turca, dei titoli di Stato di Ankara e della conseguente debolezza della Borsa di Istanbul. Nessun crollo, ma i 'bond' dei Paesi europei maggiormente sotto la pressione della speculazione, Italia in testa, restano molto nervosi, con immediate ripercussioni sui gruppi bancari. Anche perché la stessa Unione europea vede un possibile impatto sugli istituti di credito. Comunque Ankara sembra aver superato la parte più difficile della tempesta d'agosto scatenata dalle ipotesi di sanzioni più dure da parte degli Stati Uniti. Con cerotti messi dalla Turchia che sono stati progressivi: ha iniziato la Banca centrale assicurando che erogherà "tutta la liquidità di cui le banche necessitano", ha proseguito il ministro delle Finanze Albayrak parlando di un piano di azione economico che sarà attuato da subito, poi è intervento direttamente il presidente Erdogan spiegando che "i fondamentali della nostra economia sono molto forti" e che "faremo il possibile per risolvere la questione". Il risultato è stato che il crollo della lira - per il quale la Turchia ha avviato un'indagine su 346 account che avrebbero pubblicato contenuti "che hanno provocato la crisi" - si è fermato, ma i suoi effetti non ancora del tutto. Nella prima seduta della settimana a pagare il conto più salato sono stati i mercati asiatici, con Tokyo che ha chiuso in perdita dell'1,98%, Hong Kong dell'1,6% e Seul che ha lasciato sul terreno l'1,5%. Minore l'impatto sulle Borse europee, partite male ma con un chiaro tentativo nel finale di giornata di contenere le perdite: Piazza Affari è stata per qualche frazione con Francoforte (appesantita anche dal 'caso Bayer') la peggiore con un calo di mezzo punto percentuale, mentre Londra ha ceduto lo 0,3% e Parigi ha concluso piatta.
L'arrocco del Sultano,aggrappato al fronte anti-Usa - "Alla Turchia non mancano le alternative". Dagli ostacoli alla vendita degli F-35 americani alle alleanze in Siria, da settimane Ankara ripete il suo mantra. Che sia Vladimir Putin con i missili russi S-400 da schierare accanto agli arsenali atomici della Nato, o l'Iran da cui acquistare il gas in barba alle sanzioni, Recep Tayyip Erdogan si aggrappa al fronte anti-Usa per contrastare le minacce al suo potere. E con lo spauracchio dei dazi in comune, anche la vecchia Europa, fino a ieri accusata di "pratiche naziste" e "islamofobia", torna un utile alleato. L'operazione sull'asse con Mosca e Teheran oscilla dalla geopolitica alle strategie finanziarie. L'interscambio con questi Paesi, scommette il Sultano, avverrà in valuta locale, evitando così le speculazioni sulla lira turca, e si farà anche a dispetto degli ostacoli di Washington. "Chi riscalderà il mio Paese durante l'inverno?", ha chiesto provocatorio, annunciando tra i primi di voler disattendere le sanzioni all'Iran. E ora che anche l'Europa vacilla su Teheran, e non molla nel braccio di ferro sui dazi, gli interessi in comune con il Vecchio continente - che resta il primo partner commerciale di Ankara - sembrano crescere. D'altronde, sono proprio le banche europee le più esposte in Turchia. Ed è sempre l'Ue che rischia di pagare il prezzo di scossoni improvvisi in un Paese che trattiene 3,5 milioni di rifugiati siriani in accordo con Bruxelles. Con le parole di Angela Merkel, "nessuno ha interesse a una destabilizzazione economica della Turchia". L'ultimo fronte del riallineamento potrebbe spingere il Sultano anche più lontano, fino a Pechino. Erdogan ha già ipotizzato operazioni finanziarie per "diversificare le fonti di finanziamento", accrescendo le riserve in yuan. Tutto pur di non mettersi nelle mani delle odiate 'lobby del Fondo monetario internazionale'.
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