Mai pensato alle dimissioni o alla fuga. Parola del redivivo ex dittatore siriano Bashar al Assad, che di fatto sostiene di essere stato invece costretto ad abbandonare in fretta e furia il suo Paese in fiamme dal suo storico alleato-protettore, il Cremlino. Nel suo primo messaggio pubblico dopo il defenestramento del suo regime, l'ex Leone di Damasco sostanzialmente getta la spugna perché, dice, la Siria è ormai "in mano ai terroristi", mentre le cancellerie di mezzo mondo si stanno organizzando per prendere contatto con i nuovi padroni del Paese, i ribelli vincitori. A cominciare dall'Unione Europea che ha annunciato una missione dei suoi diplomatici.
"Quando lo Stato cade nelle mani del terrorismo e si perde la capacità di dare un contributo significativo, qualsiasi posizione diventa priva di scopo", ha affermato al Assad in un messaggio sul canale Telegram in cui sostiene tuttavia che è stata Mosca a richiedere per lui "una evacuazione immediata in Russia, la sera di domenica 8 dicembre", dopo che quel giorno si era trasferito a Latakia, dove la Russia gestisce una strategica base aerea nel Paese.
"La mia partenza dalla Siria non era pianificata", precisa ancora l'ex presidente mentre il suo Paese appare più che mai lontano da Mosca, dove si è rifugiato e, secondo diverse fonti, può contate su un tesoro di 250 milioni di dollari. Secondo il Financial Times, l'ex leader siriano tra il 2018 e il 2019 avrebbe infatti con preveggenza spedito in Russia quasi due tonnellate di banconote da 100 dollari e 500 euro.
E a proposito di dollari, paradossalmente, dopo la caduta del regime la lira siriana ha notevolmente guadagnato valore sul biglietto verde: alla vigilia della caduta di Damasco nelle mani degli islamisti di Hayat Tahrir al-Sham, il cambio al mercato nero era di 30.000 lire per dollaro, ovvero il doppio di quanto era stato negli ultimi mesi, mentre nelle ultime ore la valuta americana veniva scambiata a 10.000 o 12.000 lire. "In ogni Paese del mondo, la valuta locale crolla con la caduta di un regime. Qui sembra che avvenga il contrario", ha notato Raghid Mansour, proprietario di una gioielleria nel souk di Damasco.
Intanto, Israele continua a bombardare a tappeto tutte le infrastrutture militari del deposto regime, affinché non cadano in mano ai ribelli. In 48 ore, sono almeno 70 i raid messi a segno dallo Stato ebraico, che allo stesso tempo continua a consolidare la sua presa sulle alture siriane del Golan che occupa, suscitando le critiche e le condanne da molti Paesi, ultime in ordine di tempo la Turchia, la Russia e la Germania, mentre molti Paesi hanno espresso la volontà di di dialogare con la leadership di Hayat Tahrir al-Sham. "Ho dato istruzione al vertice diplomatico di andare in Siria e prendere contatto con la nuova leadership", ha annunciato l'alto rappresentante Ue, Kaja Kallas, aggiungendo che è importante definire "quali altri passi dobbiamo prendere se la Siria andrà nella giusta direzione".
A Madrid il ministero degli esteri ha fatto sapere che di aver disposto la partenza di un inviato speciale per la Siria, che "rafforzerà la nostra ambasciata a Damasco", perché "la Spagna si unisca ai Paesi europei che stanno avendo contatti con le nuove autorità". L'ambasciata del Qatar in Siria riprenderà a breve le operazioni, così come farà la rappresentanza diplomatica dell'Iran. I Paesi Bassi guardano ancora più lontano, ma con cautela: "È presto per rimuovere le sanzioni all'Hts", ha detto il ministro degli Esteri Caspar Veldkamp, aggiungendo che "è importante valutare anche delle condizionali per le basi militari russe in Siria, perché vogliamo i russi fuori dal Paese". Messaggio recepito da Kallas, che poi ha affermato: "La Russia e l'Iran non dovrebbero avere un ruolo nel futuro della Siria". Il presidente eletto americano Donald Trump intanto punta il mirino sulla Turchia, affermando che Ankara, sostenendo i ribelli, "ha fatto una presa di potere ostile, senza perdere molte vite". Ma non risparmia Assad, "un macellaio, per quello che ha fatto ai bambini".
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