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L.Stabilità, affondo delle Regioni Linea dura di Bruxelles

L.Stabilità, affondo delle Regioni Linea dura di Bruxelles

Barroso insiste, correggere deficit strutturale dello 0,5%

TORINO, 21 ottobre 2014, 11:01

Silvia Gasparetto

ANSACheck

Jose Manuel Barroso © ANSA/EPA

Jose Manuel Barroso © ANSA/EPA
Jose Manuel Barroso © ANSA/EPA

Il nodo delle Regioni, che al conto dei tagli aggiungono anche i mancati incassi che ci saranno causa taglio dell'Irap. Ma anche le polemiche sull'ultimo annuncio del premier, il nuovo bonus bebè. Si allarga ogni giorno il fronte dei mal di pancia sulla manovra targata Renzi-Padoan, mentre si prolunga l'attesa per conoscere il testo definitivo della legge di Stabilità 2015.

Il provvedimento approvato dal Consiglio dei ministri non è infatti arrivato al Quirinale e al momento il testo non è ancora all'esame del capo dello Stato. Il ddl, limato fino all'ultimo minuto, ancora deve perciò passare il vaglio (e la firma) del Colle prima di essere consegnato alle Camere e cominciare il suo iter parlamentare.

Ma si scalda sia il fronte internazionale, sia quello interno. Continua il delicato dialogo con Bruxelles, da dove filtra l'intenzione di Manuel Barroso di insistere con la richiesta di un aggiustamento strutturale dello 0,5% (l'Italia ha programmato solo lo 0,1%): chiaro che la trattativa è in corso e una soluzione intermedia sarebbe possibile con il ''cuscinetto'' da 3,4 miliardi che il Governo è appostato. E su questo livello di correzione sarebbe orientato anche il falco Jyrki Katainen, ora commissario agli affari economici ma, nel nuovo esecutivo in arrivo, vice presidente della commissione.

L'attenzione del governo è orientata anche a smussare il confronto interno. Certo le Regioni, dopo la levata di scudi, hanno abbassato i toni: "Non rifiutiamo i tagli ma stiamo lavorando perché siano compatibili" con il mantenimento dei servizi, getta acqua sul fuoco il presidente della Conferenza delle Regioni Sergio Chiamparino, sottolineando però che il dialogo va avanti sì, ma "a testa alta". Se ci saranno le condizioni, insomma, "si troverà un accordo altrimenti ognuno dovrà assumersi le sue responsabilità". Un incontro con il governo (chiesto da tutti gli enti locali) ancora non è stato fissato e potrebbe slittare alla prossima settimana (probabilmente lunedì 27), ma una prima occasione di confronto tra Chiamparino e Renzi ci potrebbe già essere in settimana, al Salone del Gusto di Torino. Intanto le diplomazie sono al lavoro per cercare di ricomporre lo strappo.

La proposta su cui le Regioni starebbero ragionando, potrebbe essere quella da un lato di rinunciare al promesso aumento di 2 miliardi del Fondo sanitario nazionale per il prossimo anno, e dall'altro di non procedere con veri e propri tagli ma di recuperare risorse rinunciando anche a trasferimenti attesi (a vario titolo) dall'amministrazione centrale e non ancora arrivati a destinazione. Soluzione che, si ragiona, comunque non coprirebbe tutti gli sforzi cui sono chiamati i governatori. Su di loro pesano infatti ancora i tagli dei passati governi (1 miliardo 'ereditato' dal Salva-Italia di Monti e 800 milioni di Letta) oltre alla sforbiciata da 750 milioni imposta con il decreto Irpef. Cui si aggiungeranno anche, è l'ultima stima elaborata, 450 milioni di mancato gettito per le casse regionali a causa del taglio dell'Irap (che riduce la base imponibile dell'imposta). Peraltro Chiamparino dovrà cercare una mediazione anche tra le posizioni dei governatori, in particolare i leghisti Zaia e Maroni, che insistono sulla necessità di non penalizzare le Regioni già virtuose (non sia "legge di stupidità" dice il governatore della Lombardia, "e spero che il governo non voglia la guerra...").

I governatori leghisti criticano anche gli 80 euro alle neomamme ("l'avevo inventato io 10 anni fa allora tutti a dire uno scempio, oggi tutti ad applaudire Renzi" twitta sempre Maroni), che non piace nemmeno a Nichi Vendola ("solo propaganda televisiva", Renzi "regala alle neomamme pannolini e biberon e noi siamo obbligati a tagliare gli asili nido per finanziarlo"). Secondo i conti della Cgil, con le stesse risorse in un triennio si potrebbero invece aprire 1000 asili per 60mila bebè, creando tra l'altro, 12mila nuovi posti di lavoro. Posizione che trova sponda anche all'interno del Pd, con Pippo Civati che ricorda come gli asili nido fossero un pallino dello stesso premier, che adesso propone invece "un messaggio sicuramente forte sotto il profilo del marketing elettorale spintissimo" ma "di un maschilismo certamente involontario ("per le mamme", che così se ne stanno ancora un po' a casa) e sbagliato". La misura è difesa invece da Ncd, che l'ha fortemente voluta, come spiega il ministro Beatrice Lorenzin "a sostegno della famiglia e delle politiche della natalità".

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