La signora Carla Arrobbio, di Casale Monferrato, ha 83 anni, occhi chiari e capelli bianchissimi, molto ben pettinati. Ama essere "sempre a posto", anche quando - come oggi - si trova in piazza a manifestare. Cappottino chiaro, orecchini, un velo di rossetto.
E un volantino in mano: "Eternit: quante volte ci devono ancora uccidere?" La signora Arrobbio non è quella che si potrebbe definire una manifestante-tipo. Né ci tiene ad essere considerata tale.
Eppure è in piazza a Casale insieme a centinaia di altre persone, per esprimere, con compostezza, un sentimento che a Casale è di tutti. "Lo faccio per mia figlia - racconta -. Sono dieci anni che non c'è più. E' morta per un mesotelioma da amianto che se l'è portata via in pochi mesi. Non abbiamo potuto fare niente. Se oggi sono in piazza è per lei, e per i tanti come lei morti senza una ragione".
La signora Arrobbio non fa parte di alcun sindacato, "non sa dire" se la politica sia giusta oppure no, se le multinazionali abbiano o meno colpe gravi. Sa solo che "ieri la Cassazione ha sbagliato. Quello che ha fatto non è giusto, questa non è giustizia. Lo dico come madre, come nonna - spiega ricordando sua figlia Ornella, nata a Casale e morta a 50 anni lasciandole due figli da tirar su con il genero -. Non è giusto che non vi siano responsabili per la Eternit. Se fosse successo solo a me, se quello di mia figlia fosse stato un caso isolato, allora non me la sentirei di muovere accuse. Ma quello che è successo a me è successo a migliaia di persone, non solo qui a Casale. Bisogna dirlo alla gente. Bisogna che la gente sappia".
Per questo la signora Arrobbio è in piazza a Casale. Tra i familiari della associazione Vittime da amianto la conoscono tutti. E la rispettano. Per la sua età, per la sua storia, per il suo garbo antico. La conosce il sindaco, Titti Palazzetti, la conosce il sindacalista della Eternit, Luciano Bortolotto, la conosce il coordinatore del Comitato Vertenza Amianto, Bruno Pesce. "Con la sentenza di ieri è come se mia figlia fosse morta due volte - dice la signora Arrobbio, trattenendo la commozione -. I giudici dicono di aver applicato la legge, di aver fatto il loro dovere. Io non voglio metterlo in discussione. Ma dico che allora è la legge ad essere sbagliata, bisogna cambiarla. Perché questa non è giustizia".
Non c'è rancore nel tono della signora Arrobbio. Nessuna traccia di astio, o di rabbia repressa. C'è solo una grande delusione. Ma, nello stesso tempo, un antico senso di giustizia che la signora Arrobbio non riesce, non vuole far tacere.
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