Raffaele Bonanni lo definì, con una punta di malcelata polemica, il "consulente del lavoro" di Renzi, all'epoca solo segretario del Pd. Renato Brunetta sottintendeva strani giochi nascosti tra i "miagolii" dell'uno e le "fusa" dell'altro. Susanna Camusso alzò immediate barricate per tracciare netta la differenza tra Fiom e Cgil (esclusa dai 'caminetti' di Palazzo Chigi). Fino ad una lettera aperta che Maurizio Landini, a meno di un mese dall'insediamento al governo del Rottamatore, pubblicò su Repubblica (il 9 marzo 2014) in cui offriva al premier un "Patto per lo sviluppo".
Sono solo alcuni dei primi passi di una "luna di miele" consumata tra l'attuale presidente del Consiglio e il segretario della Fiom che fu da subito scelto come interlocutore privilegiato sui temi del lavoro. Preferito alla 'triplice', ma anche alla Confindustria di viale Astronomia anche in segno di rottura con le "liturgie" del passato. Una sintonia che però, man mano che il governo va avanti e mette in atto la sua agenda, perde ogni giorno qualcosa. Fino all'intervista di Landini di oggi che - pur rettificata in serata - suona come la chiusura definitiva di una stagione di dialogo. Il segretario Fiom non ne fa mistero e parla senza mezzi termini della "fine di un'epoca" dicendosi pronto a "sfidare Matteo" scendendo in politica (ma senza fondare un partito, nè presentandosi alle urne).
Ma nemmeno 'Matteo' si lascia sfuggire l'occasione per 'asfaltare' l'ex amico: "Non credo - dice a In Mezz'ora - che Landini abbandoni il sindacato, è il sindacato che ha abbandonato Landini. Il progetto Marchionne sta partendo, la Fiat sta tornando a fare le macchine. La sconfitta sindacale pone Landini" nel bisogno "di cambiare pagina. E il suo impegno in politica è scontato..." dice Renzi quasi irridendo la scelta del leader sindacale cui ormai da tempo gli preferisce il suo avversario, Sergio Marchionne. E fu proprio in occasione della presentazione, negli Stati Uniti, del nuovo piano industriale di Fiat-Chrysler, che si consumò la prima frattura tra i due quando Landini chiese al governo di non restare passivo e di pretendere garanzie dalla casa torinese obbligandola a sedere ad un tavolo prima di prendere qualsiasi decisione. Ma Renzi, già in rotta di collisione con la Cgil in quel momento alle prese con il congresso, confermò la sua convinzione che la concertazione avesse fatto il suo tempo.
Il premier sa benissimo che l'equidistanza del governo dalle parti sociali, si chiami Cgil o Confindustria, rompe tabù e antichissimi equilibri. Ma la linea di Renzi non è cambiata, anche a costo di arrivare a scontri frontali. Che puntuali sono giunti con lo stesso Landini che vede messo a dura prova il suo rapporto con il premier sin dai primi passi della riforma della P.a. per arrivare al capolinea con il varo del Jobs act. Passando, ovviamente, per i ripetuti attestati di stima che Renzi ha tributato all'Ad di Fca. L'ultimo mercoledì scorso quando il premier si disse "gasatissimo" per i progetti Fiat. Troppo anche per Landini che però, non più di un mese fa e dopo la rottura ligure con il Pd di Sergio Cofferati, lo candidò come il possibile Tsipras italiano.
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