La Corte Costituzionale esaminerà il quesito proposto dalla Cgil che punta ad abrogare le riforme introdotte dal Jobs Act su licenziamenti e Statuto dei lavoratori. E dovrà esprimersi anche su altri due quesiti: sui voucher, i buoni per le prestazioni accessorie introdotti sempre dal Jobs Act; e sulle norme che limitano la responsabilità in solido appaltatore e appaltante in caso di violazioni sul lavoratore. Entrambi dovrebbero essere ammessi (e il primo potrebbe essere superato nei prossimi mesi dalle modifiche allo studio del governo).
E' sull'art. 18, invece, che restano dubbi. Una parte dei giudici ritiene, come l'Avvocatura dello Stato, che il quesito sia "manipolativo" perché non si limita ad abrogare una norma, ma punta a riscriverla estendendo i limiti al licenziamento previsti sopra i 15 dipendenti, a tutte le aziende che ne hanno più di 5. Un'altra parte ha una posizione diversa e ricorda come un referendum sull'art. 18 che estendeva le tutele a tutte le imprese fu vagliato dalla Consulta nel 2003 e fu ammesso, anche se poi sottoposto agli elettori non raggiunse il quorum.
La relatrice che illustrerà la questione alla Corte è Silvana Sciarra: allieva di Gino Giugni, padre dello Statuto dei lavoratori, Sciarra sarebbe per l'ammissibilità. In questo momento dopo le dimissioni di Giuseppe Frigo, il collegio è formato da 14 giudici. Se quando si tratterà di votare, dovesse finire in parità, farà premio il voto del presidente, che per regolamento vale doppio in casi del genere.
Un quadro di questo tipo si verificò nel 2015, quando la Consulta, anche quella volta relatrice Sciarra, 'bocciò' la norma Fornero sul prelievo pensionistico. Contrari erano Giuliano Amato e Augusto Barbera. Uno scenario che, in parte, potrebbe riproporsi. Tra i giudici, però, ci sarebbero alcuni indecisi, anche nel gruppo proveniente dalle alte magistrature - che spesso vota in blocco e così fece anche sulle pensioni. Qui, infatti, non si tratta di valutare la legittimità di una norma, ma un quesito referendario e le maglie, sul piano della giurisprudenza, sono più strette.
Il 12 gennaio 2012 la Corte decretò l'inammissibilità dei referendum sul Porcellum, la legge elettorale che 2 anni dopo avrebbe dichiarato incostituzionale. Quanto può aver pesato allora, specie sugli indecisi, l'obiettivo di non produrre contraccolpi pesanti sul governo Monti? E quanto potrebbe pesare ora una motivazione analoga? Di certo sul piano politico una inammissibilità del quesito sull'art.18 avrebbe l'effetto di disinnescare il referendum più pericoloso per la stabilità del governo attuale, perché farebbe cadere uno dei possibili grimaldelli per le elezioni anticipate. E se i grimaldelli sono più d'uno, questo è il più insidioso. Non a caso lo aveva evocato lo stesso Poletti, a metà dicembre: con il voto anticipato, il referendum si congela per un anno. Parole che, dette dal ministro del Lavoro, produssero polemiche, ma che sintetizzano le regole del gioco dettate dalla legge. E archiviato il capitolo referendum, per la Corte se ne apre un altro, di fuoco: l'Italicum. Data d'udienza: 24 gennaio.
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