31 MARZO - Due mesi per far maturare la situazione non sarebbero un dramma per avere un Governo di legislatura. Il Quirinale si prepara al primo giro di consultazioni sapendo che non sarà l'unico round. Già dalla sera del 4 marzo è parso subito chiaro a Sergio Mattarella che i risultati delle elezioni presentavano difficoltà anche maggiori della vigilia. Si sarebbe trattato di provare a unire il diavolo con l'acqua santa, cioè rendere compatibili personalità diverse e ammorbidire programmi spesso gonfiati dall'adrenalina elettorale. Più giri di consultazioni quindi, se necessario.
Per provare a capire nel riserbo dello "studio alla vetrata" del Quirinale soprattutto quanto sia forte la voglia di compromesso di Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Fino a che punto i due leader vincenti siano disposti a spingersi per costruire un accordo che vada al di là di un rapido ritorno alle urne. Ma non solo, il presidente della Repubblica non può ignorare quanto si muove sotto traccia nel Pd, dovrà accertare quanto siano forti i mal di pancia interni rispetto alla linea dell'opposizione fissata da un Matteo Renzi che si è dimesso da segretario ma che controlla ancora bene i suoi parlamentari. E anche per appurare i rapporti di forza tra i Dem serve tempo.
Nel centrodestra rimane decisiva l'incognita Silvio Berlusconi, forse l'attore della contesa che teme maggiormente un ritorno alle urne. Sarà proprio il Cavaliere in persona a guidare la delegazione di Forza Italia che salirà giovedì prossimo al Quirinale. Un segnale di presenza e forza diretto al segretario della Lega, quasi a ricordargli che senza il Cavaliere il Carroccio rimane solo una subordinata del Movimento Cinque stelle.
Da Forza Italia si susseguono segnali di disponibilità a formare un esecutivo che parta dal centrodestra ma che potrebbe tranquillamente finire al Pd. Una sorta di incubo per l'M5s che di Silvio Berlusconi non vuole neanche sentire il nome. Una esclusione ideologica insuperabile o, al momento solo tattica? Anche questo dovrà appurare Mattarella che non ha la minima intenzione di affidare un incarico a scatola chiusa. Almeno in questa prima fase. Perché al di là delle parole il nodo è semplice: nessuno ha la maggioranza e dovranno essere le forze politiche a spiegare al presidente con chi vogliono "sposarsi". E in politica non c'è nessuna condanna morale a un matrimonio a tre. Solo alla fine di questo "gioco della verità" il capo dello Stato potrebbe intervenire con un mandato esplorativo o, accertato che non c'è alcuna possibilità autonoma, fare un ultimo tentativo con una figura terza che possa far digerire una mediazione in nome del bene dell'Italia.