Tiene per ora il punto sulla linea della "astensione positiva" a un eventuale governo Cottarelli, spinge sul voto a luglio in caso di fallimento, ma intanto guarda con interesse - senza nutrire troppe aspettative, visti i precedenti - all'estremo tentativo di un governo M5s-Lega. Il Pd, rinsaldato dall'emergenza politica, resta fermo in attesa degli sviluppi, convinto di aver fatto bene, come ha detto stamane Matteo Renzi a qualche senatore, a non indossare da solo "la maglia" dell'esecutivo neutrale. Soprattutto se si andrà a breve a votare. Su come arrivare al voto, già si profilano però le prime divergenze: tutti d'accordo sull'idea di un "Fronte repubblicano" lanciata da Calenda, e quasi tutti d'accordo (perplesso qualche pasdaran renziano) su Paolo Gentiloni candidato premier. Anche perché le prossime elezioni, come sottolinea Romano Prodi in un editoriale sul Messaggero, saranno "un referendum" sull'Europa e l'euro.
Molte più perplessità, invece, sull'idea di Calenda di presentare il "Fronte" con un listone unico senza simbolo del Pd. I renziani sarebbero più favorevoli, anche considerata la dinamica del Mattarellum, a uno schema simile a quello del 4 marzo, anche se "più largo", con il Pd affiancato da due liste, una di centro (magari guidata da Calenda) e una di sinistra. In questo schema potrebbe rientrare anche "un pezzo di LeU", dicono. Ma da LeU, che pure si prepara a lanciare una iniziativa unitaria, emergono diverse perplessità: Stefano Fassina dice no e tutti chiedono "discontinuità" rispetto al renzismo. No alle "ammucchiate", dice Bersani, in un botta e risposta con Calenda.
Sì al Fronte repubblicano, ma con il simbolo del Pd, dice anche Martina. Il reggente, che tornerà a riunire i dirigenti Dem al Nazareno, agli interlocutori parla di un progetto "largo, aperto, nuovo", che sia "popolare, democratico e progressista" e con una "missione alternativa agli estremisti anti euro. Sulle modalità di presentazione - assicura - si ragionerà senza divisioni". Ma nella minoranza c'è chi già invoca "cambiamenti profondi" nelle liste, che il 4 marzo erano "iper-renziane". Se il voto fosse a ottobre, la discussione si allargherebbe, e allora, dicono i renziani, si potrebbero fare primarie e "parlamentarie".
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