"In questo momento, penso al Signore crocifisso e alle tante storie di crocifissi, della storia, ma quelli di oggi, di questa pandemia: medici, infermieri, infermiere, suore, sacerdoti, morti al fronte come soldati che hanno dato la vita per amore, resistenti come Maria sotto le croci delle loro comunità, negli ospedali, curando gli ammalati. Oggi anche ci sono crocifissi e crocifisse che muoiono per amore". così Papa Francesco in una telefonata in diretta con la trasmissione di Rai1 "A sua immagine". "Sono vicino, sono vicino a voi - ha esordito il Pontefice collegandosi questo pomeriggio in diretta con la trasmissione di Rai1 "A sua immagine" dialogando per alcuni minuti con la conduttrice Lorena Bianchetti. In vista della Via Crucis di questa sera, il Papa ha proseguito: "Sì, sono vicino al popolo di Dio, al più sofferente soprattutto, alle vittime di questa pandemia, al dolore del mondo, ma guardando su, guardando la speranza, che la speranza non delude, non toglie il dolore ma non delude". "Sempre la Pasqua finisce nella resurrezione e nella pace - ha aggiunto Francesco - è proprio il compromesso dell'amore che ti fa passare questa strada, dura, ma lui (Gesù, ndr) l'ha fatta prima. E questo ci conforta e ci dà forza". "Ringrazio tanto e anche io vorrei dire che vi voglio bene, a tutti - ha concluso -. Grazie, che il Signore la benedica e benedica tutti".
Da carcere Padova i testi della Via Crucis - "Tante volte, nei tribunali e nei giornali, rimbomba quel grido: 'Crocifiggilo, crocifiggilo!'. È un grido che ho sentito anche su di me: sono stato condannato, assieme a mio padre, alla pena dell' ergastolo". Ci sono anche dei condannati per omicidio tra gli autori delle meditazioni per la Via Crucis di papa Francesco, che anziché al Colosseo si svolge per l'emergenza Coronavirus sul sagrato di San Pietro, in Mondovisione ma davanti a una piazza vuota. "Quando, rinchiuso in cella, rileggo le pagine della Passione di Cristo, scoppio nel pianto: dopo ventinove anni di galera non ho ancora perduto la capacità di piangere, di vergognarmi della mia storia passata, del male compiuto. Mi sento Barabba, Pietro e Giuda in un'unica persona. Il passato è qualcosa di cui provo ribrezzo, pur sapendo che è la mia storia", dice l'ergastolano nei testi proposti dalla cappellania del carcere "Due Palazzi" di Padova, raccolti dal cappellano don Marco Pozza e dalla volontaria Tatiana Mario. Tra i 14 autori figurano cinque persone detenute, una famiglia vittima per un reato di omicidio, la figlia di un uomo condannato all'ergastolo, un'educatrice del carcere, un magistrato di sorveglianza, la madre di una persona detenuta, una catechista, un frate volontario, un agente di Polizia Penitenziaria e un sacerdote accusato e poi assolto in via definitiva dalla giustizia dopo otto anni di processo ordinario. "La voce rauca della gente che abita il mondo delle carceri", si legge nei testi, un mondo che sta particolarmente a cuore a papa Francesco, accompagna nelle 14 stazioni il cammino di Cristo verso la morte in croce come un contrappunto drammatico. "Il tempo non ha alleviato il peso della croce che ci hanno messo sulle spalle: non riusciamo a dimenticare chi oggi non c'è più. Siamo anziani, sempre più indifesi, e siamo vittime del peggiore dolore che esista: sopravvivere alla morte di una figlia", dicono i genitori di una ragazza "ammazzata con l'amica del cuore dalla violenza cieca di un uomo senza pietà". "È stata la prima volta che sono caduto, ma quella caduta è stata per me la morte: ho tolto la vita ad una persona", racconta a sua volta l'autore di un omicidio: "Non cerco scusanti né sconti, espierò la mia pena fino all'ultimo giorno perché in carcere ho trovato gente che mi ha ridato la fiducia perduta".
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