"Incompetenti e inaffidabili". Silvio Berlusconi e Matteo Salvini chiudono a un governo con il M5s e si dicono pronti ad andare al voto. Ha ragione il premier Mario Draghi, mettono a verbale in una nota congiunta, il patto di fiducia che ha sostenuto l'esecutivo "si è rotto". Ma al momento della verità, atteso per mercoledì in Senato, mancano ancora tre giorni e il Pd spera di poter rimettere insieme i pezzi della maggioranza in frantumi. I Dem puntano tutto sull'ala governista del Movimento, dove però il caos continua a regnare e l'ennesima riunione dei parlamentari viene rinviata. Sarebbe necessario un segnale chiaro.
Sono una trentina i parlamentari dati in uscita, e se questa truppa di nuovi dissidenti fosse compatta allora si potrebbe immaginare di andare ancora una volta in pressing su Draghi per convincerlo a restare. Al momento, le condizioni individuate dal presidente del Consiglio come necessarie per proseguire l'azione di governo non sembrano essere maturate ma certo gli appelli che arrivano affinché resti si moltiplicano di giorno in giorno, ultimo quello di mille sindaci anche di centrodestra.
La preoccupazione che sale dai territori riguarda la messa a terra del Pnrr: miliardi di investimenti che rischiano di saltare, secondo molti amministratori, che si uniscono agli allarmi lanciati dal mondo delle imprese. Una scelta dal sapore politico, attacca però la presidente di FdI, Giorgia Meloni, che accusa i primi cittadini di fare un uso "senza pudore" delle istituzioni.
Si tratta di timori infondati, cerca di rassicurare anche la Lega che fa scendere in campo il viceministro delle Infrastrutture Alessandro Morelli e il sottosegretario al Mef Federico Freni: anche in caso di "elezioni anticipate - dicono - non sono a rischio né l'attuazione del Pnrr, né le Olimpiadi, né tantomeno i fondi contro il caro energia ed il caro carburanti". Ecco perché si può andare alle urne, anche presto, avvertono. Che poi è quello su cui, dopo giorni di posizioni altalenanti, convengono anche il Cavaliere e Salvini al termine di un incontro a Villa Certosa. Il leader della Lega, che nel pomeriggio sente anche i suoi e che nella sera di lunedì riunirà i parlamentari, vola in Sardegna e fa il punto con l'alleato.
Ribadiscono che qualsiasi intesa con Conte sia da escludere, aprendo così le porte alle elezioni. Ma non tutti in Forza Italia e nella Lega sono della stessa opinione: Mariastella Gelmini, ministra azzurra da tempo non allineata sulle posizioni ufficiali del partito, spiega di essere convinta che la maggioranza non debba "mettere condizioni a Draghi". Così come è nota la cautela dei governatori della Lega di fronte all'ipotesi di andare alle urne e rischiare di bloccare i progetti in cantiere sui territori.
Guarda invece alla questione sociale il Pd. Cuneo, salario minimo, pensioni sono tutte emergenze da affrontare e che i Dem vorrebbero diventassero l'asse della nuova azione di governo "per il bene del Paese": sono i tasti che spingono per cercare di convincere i Cinque stelle. O almeno una parte di essi. Non sono certi che basterebbe un gruppo di dissidenti a far fare retromarcia al premier ma questa, con il passare dei giorni, appare come una via possibile da battere. Si ripartirebbe così, potendo realizzare alcuni obiettivi dell'agenda sociale e allontanando il momento delle decisioni sulle alleanze. Per contro, correre verso le urne - a causa di una crisi innescata dai 5s - renderebbe assai difficile costruire il campo largo.
L'ala governista, che pure c'è all'interno del Movimento, fa però fatica a uscire allo scoperto: il ministro Federico D'incà chiede "una tregua" fra Conte e Draghi "per il bene del Paese. Ma le posizioni dissonanti rispetto alla linea del leader pentastellato vengono registrate e aumentano le difficoltà a trovare un punto di caduta: l'assemblea dei parlamentari viene così riaggiornata per l'ennesima volta nella speranza che con il passare delle ore almeno qualche nube si diradi.
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