Il Pd ha preso a bordo Carlo Calenda ma rischia di viaggiare senza Sinistra italiana ed Europa verde, e di perdere anche Luigi Di Maio. All'indomani dell'accordo siglato dai dem con Azione, l'alleanza di sinistra ha fatto saltare l'incontro in programma nel pomeriggio con Enrico Letta, per un supplemento di riflessione, a fronte di "un profondo disagio nel paese e in particolare nel complesso dell'elettorato di centro-sinistra". Ev e Si chiedono "una rinegoziazione" per un "profilo programmatico che parli al popolo del centro sinistra" affinché ci siano "le condizioni per un accordo". Ma Calenda chiude: "Non c'è alcuna disponibilità da parte di Azione a farlo. L'agenda Draghi è il perno di quel patto e tale rimarrà. Fine della questione". E in serata arriva anche l'avvertimento da Di Maio, evidentemente insoddisfatto dell'incontro avuto poco prima con Letta: "Impegno civico pretende rispetto e parità di trattamento. Altrimenti viene meno il principio fondante di una coalizione". Sono al lavoro i 'pontieri' per ricomporre la frattura con la sinistra. "È importante fare di tutto affinché tutta la sinistra e gli ambientalisti siano uniti in questo obiettivo - ha chiarito Nicola Zingaretti -. È importante anche da parte nostra dare dei segnali chiari e sono certo che questa è la strada che si seguirà". La situazione è complessa, per dirla con un dirigente del Pd, uno di quelli impegnati a capire su che basi possa ripartire il dialogo con i partiti di Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, che vedono "cambiate le condizioni su cui si è lavorato in questi giorni", come affermato nel messaggio con cui hanno chiesto di posticipare l'incontro con Letta a poco più di un'ora dall'appuntamento fissato alle 15. "Politiche di bilancio, termovalorizzatori e due leader, Letta per la sinistra e io per il centro" aveva detto poco prima Calenda a Sky, illustrando il suo patto con il Pd: "Letta l'ha firmato. Se Fratoianni non ci si trova chiarisca prima di fare la coalizione. Il mio interlocutore è Enrico Letta". Un atteggiamento di eccessivo protagonismo, secondo quanto filtrava da Ev-Si, mentre venivano rilanciate stime secondo cui senza di loro il Pd potrebbe perdere fra 14 e 22 collegi. "L'accordo di ieri con Calenda, con quel profilo programmatico - ha chiarito Bonelli - non parla più al popolo di centrosinistra". In parallelo dal M5s la vicepresidente Alessandra Todde notava "che sarebbe cosa giusta provare a costruire un percorso comune" con Bonelli e Fratoianni. Il partito di Giuseppe Conte guarda con attenzione i tormenti di Si e Ev, che potrebbero alla fine anche decidere di correre da soli. Dal Nazareno considerano legittime e comprensibili le richieste di maggiori approfondimenti da parte di Ev e Si: pur senza nascondere i problemi, anche dopo il nuovo sbarramento alzato da Azione, si confida che una quadra si possa trovare, puntando sul fatto che l'accordo con Calenda parla di sostenibilità, transizione ecologica e non di nucleare, con un impianto programmatico di centrosinistra. Una coalizione di centrosinistra più ampia possibile, secondo i ragionamenti dem, è considerata fondamentale per contrastare le chance del centrodestra. Tanta fiducia è messa, però, alla prova dal duro comunicato di Di Maio, poco dopo aver incontrato, assieme a Bruno Tabacci, Letta alla Camera. Secondo alcune voci circolate in ambienti parlamentari, non confermate dai diretti interessati, Impegno civico punterebbe a una decina di posti. E se dal Pd ne fosse concesso uno solo o poco più alla fine Di Maio potrebbe addirittura rinunciare al diritto di tribuna per correre direttamente con la sua lista, rilevano le medesime fonti. "Nelle coalizioni - ha chiarito il ministro degli Esteri - deve prevalere il rispetto reciproco, verso tutti coloro che ne fanno parte". Incandescente resta invece il rapporto con Iv. Al Nazareno sono considerate inopportune e ineleganti le considerazioni di Maria Elena Boschi, secondo cui Emma Bonino avrebbe detto 'No' a Matteo Renzi "perché nel 2014 non è stata confermata ministro degli Esteri". I giudizi sulla ex commissaria europea, più volte ministro, un personaggio che ha inciso sui diritti civili non solo in Italia, è il ragionamento dem, lo dà la storia, mentre il rancore non è una categoria della politica.
Il diritto di Tribuna - L'intesa Letta-Calenda prevede che nessun segretario di partito e nessun ex di FI e M5s possa essere candidato nei collegi uninominali, il Pd offre dunque un posto nei listini proporzionali della sua lista Democratici e progressisti "ai leader di partiti e movimenti che entreranno a far parte dell'alleanza": il cosiddetto diritto di tribuna. L'opportunità può tentare chi guida forze che rischiano di non il 3% e quindi di non avere eletti. In Transatlantico, si pensa subito a Bruno Tabacci e Luigi Di Maio, fondatori di Impegno civico. E infatti, ieri il ministro degli Esteri ha incontrato Letta, seminando scompiglio nei parlamentari fedelissimi: "Se accetta il diritto di tribuna ci abbandona e Impegno civico salta" era il timore. Di Maio convoca i suoi e si apre il confronto.
Renzi resta solo e attacca - Malgrado Letta e Calenda ufficialmente dichiarino che non ci sono veti, il leader di Iv sembra ormai intenzionato a correre da solo, al centro. 'L'alleanza fra Pd, Azione e +Europa ha poco a che fare con la politica del 'si sta insieme se si condividono le idee'", commenta Matteo Renzi che, in un'intervista a 'Qn', confessa di aver avuto con Letta solo una telefonata di "due minuti e quaranta secondi", nella quale il segretario Dem gli avrebbe detto che "non voleva Italia Viva nella coalizione perché pensava e pensa che gli facciamo perdere più voti di quanti ne guadagni. Questo è il massimo del dialogo che Enrico ha interpretato" dichiara. E sull'ipotesi del 'diritto di tribuna' per Di Maio, sbotta: 'Letta ha proposto il diritto di tribuna. Che significa? Un posto garantito come capolista del PD a tutti i leader dei partiti in coalizione. Così entrano in Parlamento. Pare che al momento abbia accettato di prendere questo posto e correre con il simbolo del PD, Luigi Di Maio. Amici miei, ma la dignità dov'è?".
La riunione e la soluzione per sciogliere il nodo candidature - L'intesa fra Calenda, Della Vedova e Letta si chiude dopo due ore di colloquio. L'incontro rischia anche di partire col piede sbagliato, quando, prima dell'inizio dei lavori arriva al Pd una bozza di accordo già scritta dal leader di Azione: un salto in avanti ritenuto inopportuno dai dem. Poi, però, si apre il dialogo che porta all'intesa. Fra i punti dell'accordo, la divisione dei seggi uninominali: 70% al Pd e 30% ad Azione +Europa. Ma, soprattutto, si trova il modo di bypassare l'ostacolo delle "candidature scomode". Fra la richiesta di Calenda di non candidare negli uninominali Fratoianni, Di Maio e Bonelli e l'intenzione del Pd di non mettere veti sui nomi, si trova la soluzione di far fare un passo indietro a tutti i big. "Abbiamo dimostrato tutti grande senso di responsabilità - ha detto Letta - l'Italia vale di più rispetto alle discussioni interne".
I commenti - "L'alleanza Pd-Azione fa chiarezza sulle forze in campo alle prossime elezioni. A misurarsi con il centrodestra e FdI ci sarà la solita sinistra. Il Pd, la sinistra estrema e Azione, la costola del Pd presieduta dall'europarlamentare eletto nel Pd, Carlo Calenda. Finisce la storiella di Azione partito moderato, alternativo alla sinistra tutta tasse, assistenzialismo e nemica del ceto produttivo", dichiara il presidente di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni. "Azione getta la maschera. È la quinta colonna del Partito democratico e della sinistra. Altro che progetto per creare un nuovo centro, altro che governo Draghi, semplicemente al servizio di chi vuole la patrimoniale per qualche posto in più", scrive su Twitter Antonio Tajani, Coordinatore nazionale di Forza Italia. L'accordo di ieri tra Pd e Calenda "è un'allegra brigata che mette insieme Di Maio, Fratoianni, Calenda, Gelmini, Letta, Speranza: quindi coerenza zero, concretezza zero. Ho visto che l'unico punto su cui sono d'accordo è la spartizione dei collegi elettorali", ribadisce il leader della Lega, Matteo Salvini. "In bocca al lupo alla grande ammucchiata" è la battuta ironica del leader del M5S Giuseppe Conte.
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