Se si guarda agli applausi, è stato Carlo Calenda il vincitore della sfida fra i leader dei principali partiti politici al Forum Ambrosetti di Cernobbio. Ma il successo non si misura con l'applausometro piuttosto guardando allo scopo per cui tutti si sono presentati all'appuntamento: convincere la platea di industriali riuniti a Villa d'Este di essere la scelta migliore per il Paese. Una sfida a suon di battute sul Pnrr e sulle sanzioni alla Russia.
Da Giorgia Meloni, la presidente di Fratelli d'Italia, ci si aspettava un discorso per rassicurare il mondo dell'economia e infatti nel suo intervento si è soffermata soprattutto su temi economici e su politica internazionale, spiegando le sfumature delle sue posizioni nei confronti della Ue, dove tutti gli Stati "difendono i loro interessi", giusto quindi che anche l'Italia lo faccia. Dice no allo scostamento di bilancio, propone di fare subito in Italia, senza aspettare l'Europa, lo scorporo del costo del gas e dell'elettricità. E ripete che "non può essere una eresia dire che il Pnrr non può essere perfezionato: è previsto nella norma".
Enrico Letta, che a Cernobbio è di casa dal 1999, arriva per dire che il voto al Pd è "l'unico" per evitare che venga eletto il "blocco della destra". E che il debito italiano è "un problema a livello europeo" e per l'Italia è "meglio avere un governo che sta nella serie A con Francia, Germania, Spagna" che uno che va "con la serie B Polonia, Ungheria". Quindi, spiega il segretario Pd, meglio il governo del centrosinistra per cui il Pnrr è "la stella polare. Si può discutere, ma diciamo 'no' alle rinegoziazioni. Se ci mettessimo in un confronto con Bruxelles perderemmo soldi e prospettive per il futuro". Al contrario "se vincesse la destra il 25 settembre sera brinderebbe in primo luogo Putin, poi Orban e poi Trump".
Matteo Salvini "armato" di slides torna a difendere la flat tax, propone di spostare a Milano il ministero dell'Innovazione e soprattutto, dopo le polemiche, spiega la sua posizione critica sulle sanzioni verso la Russia, che considera deleterie per la nostra economia. "Andiamo avanti con le punizioni per l'aggredito, ma proteggendo i nostri lavoratori. Vincere le elezioni ereditando un Paese in ginocchio non sarebbe una grande soddisfazione". "Spero quindi che Bruxelles nelle prossime ore attui lo scudo". Punto, quello dello scudo, che lo 'riunisce' al resto del centrodestra nettamente contrario ad allentamenti, con Antonio Tajani per cui le sanzioni sono "inevitabili" e Meloni secondo cui ne va della "credibilità" dell'Italia.
È Tajani però ad assicurare che il centrodestra è unito e Forza Italia rimarrà nell'alleanza. "Noi siamo parte di una coalizione e resteremo nel centrodestra". In sostanza dice no a possibili governi allargati dopo il voto.
Giuseppe Conte, unico in videocollegamento da Napoli e non in presenza, difende il reddito di cittadinanza che Meloni definisce "un fallimento" e che invece per lui sarebbe "folle abolire" perché ne va della coesione sociale. "Cancellarlo - aggiunge - è fare la guerra ai poveri". Chiede che l'inflazione non sia una scusa per "politiche di austerity" e considera l'extra debito un'arma per "proteggere il tessuto sociale e imprenditoriale".
Ma è Calenda che spariglia le carte. D'altronde la sua missione dichiarata è "spezzare il bipopulismo che spacca l'Italia", pronto a fare "il governo più largo possibile". Salvo dire che Forza Italia non può candidarsi ad essere "una forza centrale e liberale" perché "ha sfiduciato Draghi", attaccare il "trasformismo di Salvini" che se ne andava "per il Parlamento europeo con la maglietta di Putin". Definisce "confuso chi pensa che la continuità con Draghi sia una che non lo ha mai votato" ovvero Meloni. Certo non c'è pericolo di "fascismo ma di anarchia" e invece ora ci vuole una "agenda di buon senso", perché stanno arrivando "gli tsunami energia e tassi".
Già: uno tsunami. Che vede bene, o per lo meno teme fortemente, il segretario della Cisl, Luigi Sbarra che in serata, da Assisi e lontano dai riflettori di Cernobbio, avverte: "L'escalation dei prezzi energetici e dei beni alimentari rischia di vanificare la crescita economica. Secondo alcune proiezioni sono a rischio quasi in milione di posti di lavoro". E questo, si appella alla politica, "è un lusso che non ci possiamo permettere".
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