Lei rispolvera parole chiave del sovranismo, la necessità di "difendere le famiglie, le nazioni, l'identità, Dio e tutto ciò che ha costruito questa civiltà", per contrastare l'inverno demografico. Lui condivide la "condanna dell'aggressione russa" e l'auspicio di "una pace giusta", con una svolta rispetto all'atteggiamento fin qui tenuto sulla guerra in Ucraina. Il riavvicinamento fra Giorgia Meloni e Viktor Orban si consuma in poche ore Budapest, fra l'intervento al Demographic Summit e il colloquio nella sede del governo, a quasi tre mesi dal vano tentativo della presidente del Consiglio di mediare con il collega ungherese e quello polacco Mateusz Morawiecki, che bloccavano le conclusioni sulla migrazione del Consiglio europeo. A sentire autorevoli fonti di FdI, questa evoluzione ha potenziali risvolti anche nel cammino verso le elezioni europee.
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La posizione filo-Mosca di Orban sull'Ucraina era l'unico ostacolo sostanziale all'ingresso dei suoi europarlamentari nel gruppo dei Conservatori europei guidato da Meloni. Magari, è il ragionamento che si fa nel partito della premier, il leader ungherese manterrà un minimo di ambiguità per ragioni interne, ma una svolta c'è. A leggere il comunicato di Palazzo Chigi e del portavoce di Orban dopo l'incontro di un'ora, quell'ostacolo è caduto. È successo dopo l'apertura del Ppe a una nuova 'maggioranza Ursula'. Ma anche alla vigilia del fine settimana in cui Matteo Salvini accoglierà a Pontida Marine Le Pen, esponente dell'estrema destra con cui FI non vuole avere a che fare e non è vicina neppure a Meloni. Senza contare che l'asse Lega-FdI è teso anche per i dubbi, espressi dal vice di Salvini, Andrea Crippa, sull'efficacia della strategia diplomatica avviata dalla premier con Ursula von der Leyen sulla gestione dei migranti. Nella visita lampo della premier a Budapest, non c'è spazio per commenti pubblici su questo. Unici riferimenti ai migranti sono nel comunicato post incontro, quando i due leader ribadiscono "la necessità di concentrarsi sulla dimensione esterna per prevenire le partenze". E, prima ancora, nell'intervento di Meloni, che non condivide la "narrazione" di chi "in modo strumentale sostiene che la migrazione contribuirà alla crescita delle nostre popolazioni". "Una quota di migrazione regolare, laddove necessaria e pienamente integrabile, può rappresentare un contributo positivo per le nostre economie", ma per lei "le grandi nazioni devono assumersi le proprie responsabilità nel realizzare il futuro proprio e del proprio angolo di mondo". Parla al Museo delle belle arti di Budapest, in un summit che è "la Mecca pro-famiglia", come dice la padrona di casa, la presidente ungherese Katalina Novak, avvertendo che le famiglie del suo Paese stanno portando avanti "una lotta di liberazione". Meloni sottoscrive definendo a tutto tondo la sua visione del contrasto all'inverno demografico. Non arriva ai toni del comizio del 2019 a sostegno di Vox, ma lei stessa lo rievoca: "Dissi 'mi chiamo Giorgia, sono donna, sono madre, sono cristiana e nessuno me lo può togliere'. Lo misero in musica per attaccarmi, ma non funzionò, è diventato un successo". Anche oggi le sue parole e il riferimento a dio vengono commentate, con una certa ironia, dall'opposizione: "Meloni ha individuato la vera emergenza. La guerra? Il caroprezzi? Le migrazioni? Niente affatto. 'Serve una grande battaglia per… difendere Dio'. Mi sbaglierò ma non credo - sottolinea ad esempio Giuseppe Conte - che gli elettori l'abbiano votata per sostituire papa Francesco". La premier punta anche sulla manovra per invertire il trend.
Vuole un salto di qualità nelle politiche per la famiglia. Lo chiarì nel Consiglio dei ministri che ad aprile ha varato il Def, e nelle riunioni dell'esecutivo più d'una volta è stato indicato il modello di incentivi alla famiglia dei governi Orban come punto di riferimento per le misure contro la denatalità. Le ipotesi ora allo studio fra Mef, Palazzo Chigi e ministeri competenti dovranno fare i conti con le strettoie della Nadef, a fine mese. Una delle priorità è aiutare le donne: "I figli rendono le donne più forti anche sul lavoro. Contesto gli uomini secondo cui l'aumento di bambini disincentiverebbe il lavoro femminile, l'esempio ungherese dimostra il contrario". Orban ricambia. "Il futuro dell'Europa sta nella famiglia, e cito Meloni quando disse che è importante che un bambino abbia una madre e un padre", alza la voce il premier ungherese, senza risparmiare bordate non inedite all'Europa: "È guidata da una élite progressista e liberale che si occupa delle cose più stupide e incredibili. In 35 anni ho imparato che non c'è nessuna chance di convincere l'élite liberale, va messa da parte. Serve un cambio di regime". Dopo Budapest e Roma, lui guarda a Bruxelles. Magari facendo squadra con Meloni. Il tempo delle scelte si avvicina.
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