Nell'emiciclo di Montecitorio, poco dopo le 14, va in scena l'ottava fumata nera sull'elezione del giudice della Corte Costituzionale.
La premier Giorgia Meloni avrebbe voluto chiudere su Francesco Saverio Marini, consigliere giuridico di Palazzo Chigi, ma il muro delle opposizioni - unite nel non partecipare al voto - e i numeri risicati per il via libera, alla fine, hanno suggerito prudenza.
Per il quorum, infatti, sarebbero servite 363 preferenze (tre quinti dei parlamentari) ovvero, al netto di assenti e possibili franchi tiratori, diverse in più rispetto ai numeri della maggioranza. L'opposizione, reduce da settimane di scontri interni, riesce a trovare in Aula una strategia comune: non si risponde all'appello, non si ritira la scheda.
"La nostra compattezza ha fermato la forzatura che la maggioranza voleva fare", esulta la segretaria del Pd Elly Schlein che rilancia: "Ora accettino il dialogo". "E' fallito il blitz organizzato da Meloni - le fa eco dal M5s Giuseppe Conte -. Li abbiamo lasciati da soli in Aula con le loro paranoie, a scovare i traditori dentro Fratelli d'Italia". Dopo aver confermato in mattinata la linea comune, i parlamentari dem, insieme a quelli del Movimento, di Avs, Azione, Iv e Più Europa disertano il voto. Una postura stigmatizzata duramente da FdI, che per voce di Giovanni Donzelli, punta il dito: "Non hanno senso delle istituzioni, non possiamo tenere bloccata l'Italia per loro. Noi potevamo fare una forzatura e invece non l'abbiamo fatta, ma non possono abusarne sempre. Se andremo avanti su Marini? Lo decideremo noi, non Schlein", scandisce.
Quanto ai numeri, minimizza: "In Aula li trovi sempre...". La scelta del consigliere giuridico di Palazzo Chigi viene contestata non solo nel metodo: anche nel merito. Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni parlano di un "palese conflitto di interessi" in quanto il professor Marini "è l'autore di proposte di riforma come autonomia e premierato", di cui "da giudice della Consulta avrebbe dovuto valutare la costituzionalità". Oltre "ed esprimersi sull'ammissibilità di referendum abrogativi".
Per il ministro della Giustizia Carlo Nordio, invece, "le persone" indicate per essere elette alla Consulta "avevano tutte le caratteristiche" per poterlo fare. E il partito di Meloni rispedisce le accuse al mittente: "Il preteso conflitto di interessi del consigliere giuridico del presidente del Consiglio, è un bluff! Nel settembre 2022, ad esempio, venne nominato alla Consulta Marco d'Alberti, consigliere giuridico del presidente Draghi". Difende l'indicazione anche Giorgio Mulé di FI: "Marini ha l'esperienza e la competenza giusta. Si potrebbe rivotare già la prossima settimana", preannuncia. Comunque vada, la linea delle Camera resta quella di proseguire con convocazioni continue. Ore tese nella maggioranza prima del voto, tra la fuga di notizie sui parlamentari di FdI precettati, che aveva già provocato l'ira della leader e una 'caccia alla talpa', e la ricerca del quorum. I calcoli sul pallottoliere d'Aula sono andati avanti fino all'ultimo momento utile, scandagliando gli iscritti al gruppo misto che avrebbero potuto votare Marini, gli ex di Azione e qualche altro possibile 'dissidente' dentro Iv.
Mezz'ora prima della seduta, l'annuncio dei capigruppo per la scheda bianca, "per rispetto delle istituzioni". Non meno complessa la gestazione dell'unità d'intenti del centrosinistra, per superare i reciproci sospetti. I timori, infatti, erano di una riedizione della spaccatura sulla Rai, ma alla fine tutti hanno confermato la stessa linea. E lo scrutinio ha fotografato 342 presenti e votanti, 9 voti dispersi, 10 schede nulle, 323 bianche. "Ora Meloni cambi metodo e apra il dialogo", il messaggio che il segretario di Più Europa Riccardo Magi invia direttamente alla premier. Intanto, il tempo stringe: la casella da riempire è quella dell'ex presidente della Consulta, Silvana Sciarra, il cui mandato è terminato quasi un anno fa.
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