La voce le manca ancora. E la premessa è che sarà "breve" perché poi la aspetta il volo per Bruxelles. Ma Giorgia Meloni non sa resistere alle provocazioni e quando prende la parola a Palazzo Madama, prima calma e poi in un crescendo di irritazione, si "difende" ("potrò farlo se mi attaccano no?") e ne ha per tutti.
Per il senatore a vita Mario Monti che le imputa di "imporre un protettorato all'Italia" nei rapporti con Elon Musk, e per Matteo Renzi, che "si metteva il cappotto uguale a Obama". Per i Cinque Stelle che la chiamano "serva delle lobby delle banche" e pure per il Pd che, tra le altre cose, ha "tenuto in ostaggio" la nomina di Raffaele Fitto per "difendere il commissario spagnolo". Ma "c'è una differenza fra noi e voi", traccia una linea la premier, perché "io parlo con tutti ma non prendo ordini da nessuno".
Aprendo la replica alle consuete comunicazioni in vista del Consiglio europeo, la premier la prende larga e parte dal leitmotiv dell'Europa che deve cambiare passo e abbandonare l'approccio "ideologico" al green che rischia di portare alla "deindustrializzazione" senza difendere l'ambiente. Bisogna ingranare un'altra marcia, pragmatica, per sostenere il sistema produttivo in crisi, a partire dall'automotive. E sulla stessa falsariga ribadisce che il sì italiano all'accordo Ue-Mercosur arriverà solamente con le dovute "compensazioni" in particolare per gli agricoltori.
Ma gli scatti della mattinata d'Aula raccontano di colpi di tosse e bicchieri d'acqua, del parlare fitto con Salvini al suo fianco, atteso dalla sentenza Open Arms (e quando gli esprime solidarietà scatta l'applauso dai banchi della maggioranza).
Quando piovono in Aula le accuse dei senatori M5s le immagini riportano invece occhi sbarrati, mani nei capelli o direttamente a coprirsi la faccia. La premier prende appunti su diversi cartoncini, che consulta mentre parla a braccio. Le scintille vere arrivano proprio nei confronti del Movimento. Non ci sta Meloni a sentirsi descrivere come "serva delle lobby delle banche" visto che il suo governo, rivendica, è quello che a istituti di credito e assicurazioni ha chiesto tre miliardi e mezzo a copertura della manovra. "Provo a dirlo con aplomb istituzionale" ironizza la premier abbassando il tono della voce, ma si deve interrompere più volte per le proteste dai banchi dell'opposizione, tanto che deve intervenire con forza il presidente del Senato Ignazio La Russa.
Il suo, ripete anche in Senato Meloni dopo averlo urlato dal palco di Atreju pochi giorni fa, è il governo che ha "buttato fuori la mafia" dalla gestione dei migranti legali e da Caivano.
"Inutile che fate 'ooh', i camorristi dalle case occupate li abbiamo cacciati noi", risponde alle reazioni di disappunto delle opposizioni che al termine del suo intervento parleranno a vario titolo di "arroganza" perché è "in difficoltà" (come fa il capogruppo dem Francesco Boccia) e di una premier che fa "la bulla della Garbatella" (copyright della vicepresidente dei 5S Alessandra Maiorino). A Renzi che "sorride" in Transatlantico sulla norma ad hoc "contro di me" in manovra, una misura "sovietica che mostra una deriva sudamericana", Meloni risponde poi sui centri in Albania (buona l'idea di farne delle carceri ma "non la perseguirò, saranno usati per quello per cui sono stati pensati") e pure sui rapporti con Javier Milei, "la persona giusta per l'Argentina" ma non per questo "mi faccio crescere le basette come lui", ripete la battuta Meloni. E sfrutta le parole dell'ex premier Mario Monti per ribadire che si può parlare con tutti ma "io non prendo ordini da nessuno".
Né, aggiunge rivolta anche al Pd, "consento ingerenze a nessuno, guardo solo all'interesse nazionale". Ma, ironizza, "sono felice, vedo che siete sovranisti, difendete la sovranità nazionale dalle ingerenze straniere: la considero una grandissima impresa di Elon Musk, anche più di essere arrivato sulla luna".
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