Matteo Salvini che insiste col suo desiderio di tornare al Viminale. La decisione da prendere sul caso De Luca, e quella legge sul terzo mandato approvata in Campania e che va impugnata entro il 9 gennaio. E poi il nuovo commissario per la ricostruzione in Emilia-Romagna.
Sarà un 2025 che si avvia con diverse grane quello di Giorgia Meloni, che per voce del suo braccio destro Giovanbattista Fazzolari mette un freno ancora una volta ai sogni del leader leghista: un rimpasto "non è all'ordine del giorno", chiarisce il solitamente poco loquace sottosegretario di Palazzo Chigi. Anche se qualche ritocco alla squadra probabilmente arriverà già a gennaio quando si dovrebbero riempire le tre caselle di sottogoverno lasciate libere tutte da esponenti di Fdi. Le ambizioni di Salvini, spiegano dai piani alti dell'esecutivo, possono anche essere legittime e non sarebbe "sconvolgente" un suo ritorno alla guida del dicastero dell'Interno.
Ma la sostituzione di un ministro di quel peso rischierebbe di aprire, appunto, il vaso di Pandora di un rimpasto che la premier non vuole assolutamente, sia per evitare di dover tenere a bada le mire degli alleati, sia perché fin dall'inizio del suo mandato accarezza l'idea di guadagnare il posto più alto possibile nella classifica dei governi più longevi della storia della Repubblica. "Ragioneremo con Giorgia e con Matteo Piantedosi", insiste intanto Salvini.
Il Viminale, dice anche con un certo trasporto lasciando il Senato, "resta nel cuore per tutta la vita". E ora che è stato assolto dal processo Open Arms, ripete, ostacoli non ce ne dovrebbero essere. "Si può parlare di tutto, non c'è preclusione su nulla", aveva detto poco prima Fazzolari, salvo precisare che "un rimpasto si fa quando l'attività del governo ne troverebbe giovamento. Ad oggi non mi sembra che ci sia questa esigenza". Altro sarà rimpinguare la squadra con i sottosegretari mancanti. I posti liberi sono al ministero dell'Università dove c'era Augusta Montaruli, che ha lasciato dopo la condanna in via definitiva per peculato, al dicastero della Cultura dopo l'addio di Vittorio Sgarbi, e proprio al ministero di Salvini, con il trasloco a Montecitorio come capogruppo del viceministro Galeazzo Bignami. E quest'ultima sarebbe l'unica casella che dovrebbe essere rimpiazzata tale e quale, con la scelta che dovrebbe ricadere su un meloniano rappresentante del Sud dopo l'uscita, direzione Bruxelles, del pugliese Raffaele Fitto.
I due sottosegretari potrebbero invece trovare casa in altri dicasteri, rispondendo magari alle richieste del Mef (ma anche dei Rapporti con il Parlamento) di rinforzi per far fronte alla mole di lavoro tra Camera e Senato. Più impellenti però sono altre questioni: se c'è la convinzione che sulle armi all'Ucraina "non ci saranno problemi" (sempre Fazzolari) nonostante i malumori della Lega suggeriti anche dalle parole in Aula al Senato del capogruppo Massimiliano Romeo ("diamo armi alle imprese non alle guerre", il senso del suo discorso), qualche supplemento di riflessione è in corso la sul terzo mandato e la scelta del dopo-Figliuolo. Il presidente dell'Emilia-Romagna, Michele De Pascale, ha chiesto di essere nominato commissario.
Il consiglio dei ministri si sarebbe dovuto riunire proprio il giorno del varo della manovra al Senato anche per dare questa indicazione ma poi è stato rinviato, probabilmente a inizio 2025. Quando bisognerà scegliere che fare anche con la legge regionale della Campania che consentirebbe a Vincenzo De Luca di candidarsi per un terzo mandato. Nell'esecutivo ci sarebbero ancora correnti di pensiero (e pareri ministeriali) diversi. "Stiamo valutando", ammette ancora Fazzolari, esprimendo la sua preferenza in favore del ricorso perché quella dovrebbe essere "materia di competenza dello Stato". Ma gli uffici starebbero ancora pesando i pro e i contro. Di certo si saprà entro il 9 gennaio, quando Meloni si presenterà alla stampa per la consueta conferenza di fine anno, per la seconda volta di seguito rinviata all'inizio di quello nuovo.
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