‘Avevo vent’anni: non permetterò a nessuno di dire che è l’età più bella della vita’: è l’attacco folgorante del romanzo di Paul Nizan ‘Aden Arabia’, riferimento d’obbligo quando si parla delle difficoltà dell’adolescenza e dei sentimenti, giganteschi, contrastanti e spesso incontrollati che si vivono in questa età. Citazione passepartout buona per l’avvio di un film tenebroso e datato come ‘Avere vent’anni’ di Ferdinando Di Leo ma anche per la traccia di un tema di maturità (fu usata nel 2012). Chissà se il professor Keating, il Robin Williams dell’Attimo fuggente, pensava anche ad Aden Arabia, oltre che ovviamente ad Orazio, quando invitava i suoi allievi a prendere in mano la loro vita senza esitare, pur nelle difficoltà di una travolgente tempesta ormonale.
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Agli adolescenti si fa appello praticamente sempre e quasi per qualunque cosa. In genere sono richieste di ragionevolezza, cautela, moderazione: dalle uscite serali e notturne, allo studio assiduo fino, oggi, ad un comportamento che li tuteli dall’attacco del virus. In sostanza, gli si chiede il contrario del motivo per cui esistono, in contrasto con la loro stessa fisiologia e conformazione biologica, di cui la cosiddetta tempesta ormonale, e quindi la sessualità, è solo uno dei molti aspetti.
L’adolescenza intanto non è un’invenzione recente e nemmeno più considerata rispetto al passato. Certamente più studiata, ma questa è una questione diversa. Greci e romani tenevano l’adolescenza in grande considerazione. In Grecia, come altrove d’altronde, era un’età segnata da un rito di passaggio che preparava il giovane alle sue nuove responsabilità di cittadino e per questo il ragazzo veniva addirittura allontanato dalla città per tornarvi ‘cresciuto’ e ‘maturo’. D’altra parte la parola deriva da adolèscere, termine latino composto da ad, che indica un’azione e un cambiamento di stato ed è un rafforzativo, e dal verbo alere, che significa nutrire. Tecnicamente è un parasinteto, una parola cioè formata da un composto. Siamo di fronte a qualcuno che si nutre per crescere, il contrario dell’adulto, parola che deriva dalla stessa radice, e che esprime un percorso ormai terminato, compiuto, come se non ci fosse più crescita, in tutti i sensi.
L’adolescenza è certamente, come spiegano anche i riti di passaggio, una fase di transizione, un movimento che porta da un punto ad un altro senza che si possa più tornare indietro. Tanto che uno psichiatra dell’età infantile e dell’adolescenza, Massimo Ammanniti, ha dovuto coniare un termine nuovo, e non bellissimo, per indicare invece quegli adulti che non si arrendono all’idea che questo processo, questa fase di transizione sia terminata e compiuta: sono gli adultescenti, esempio di parola-macedonia come l’ha definita Bruno Migliorini, linguistica e filologo, per indicare gli adulti che mantengono gusti e abitudini degli adolescenti.
Ma è proprio l’aspetto della transizione che ha fatto sottovalutare per troppo tempo l’adolescenza, considerata proprio come i brufoli che porta con sé: un fastidio da superare il più presto possibile. Brufoli, fragilità, incertezza, confusione. Finché non è arrivato uno zoologo, David Bainbridge, a spiegare il mistero delle creature più meravigliose e fastidiose del pianeta: l’adolescenza, ha spiegato, non è solo una fase esistenziale importante perché racchiude in sé tante cose insolite (la scoperta della sessualità, certo, ma anche la crescita fisica, psicologica, intellettuale e spirituale o come altro la si voglia chiamare), ma soprattutto perché rappresenta la differenza biologica fondamentale tra gli esseri umani e gli altri animali. Non esiste un’adolescenza dello scimpanzè e nemmeno di animali che vivono più a lungo, come le tartarughe ad esempio. In sostanza, siamo quello che siamo grazie all’adolescenza, che è un patrimonio solo nostro e, insieme al linguaggio, ci distingue da tutti gli altri mammiferi. E pazienza se bisogna sopportare quella crescita disordinata e impetuosa, della corteccia prefrontale che è la caratteristica del cervello adolescente, quella, per capirci, che non ci fa vedere i rischi, i pericoli. Pensiamoci, quando vediamo un figlio che si rifugia per ore sotto due cuffie gigantesche ad ascoltare una musica che magari ci può risultare fastidiosa o incomprensibile, come accadeva forse ai genitori degli anni ’90 con ‘Smells like teen spirit’. Tranquilli, Teen Spirit era solo l’ironico nome del deodorante di cui faceva uso abbondante l’allora fidanzata del tormentato ma creativo Kurt Cobain, leader dei Nirvana.
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