Marco Bellocchio che pensa di fare un film dal Barone Rampante, Ermanno Olmi che da ragazzo partecipa a un concorso per illustrare Il sentiero dei nidi di ragno e da adulto immagina di portarlo sul grande schermo. E Richard Gere che legge l’incipit della storia di Cosimo Piovasco di Rondò e racconta dei tentativi (vani) di convincere Chichita, la moglie di Calvino, a concedergli i diritti per un film. Portare sul grande schermo i romanzi di Calvino si è sempre dimostrato molto difficile. Eppure la sua scrittura è stata notevolmente influenzata dal cinema, soprattutto durante l’adolescenza, quando arrivava a guardare anche tre film al giorno. Lo racconta lui stesso nell’Autobiografia di uno spettatore, parlando delle sale della sua città, Sanremo, divenute un rifugio contro un mondo poco interessante. E del cinema americano, “hollywoodiano”, in grado di folgorarlo con il suo andirivieni di realtà e finzione, con il suo mondo così moderno rispetto all’Italia, con le sue donne “forti, indipendenti e rivali degli uomini”. In quegli anni, dal 1936 alla guerra, il cinema diventa per Calvino “uno spazio della mente”, un altrove dove nascondersi e ampliare i propri orizzonti.
100 di questi Calvino, lo speciale Ansa che, in occasione del centenario della nascita, racconta come il grande scrittore sia ancora oggi fonte di ispirazione in molti campi, questa volta è dedicato al rapporto tra Calvino e il cinema.
L'amore di Calvino per il cinema e il documentario di Davide Ferrario
“Calvino – spiega il regista Davide Ferrario che ha girato il docufilm Italo Calvino nelle città - è un grande spettatore, lo confessa apertamente: il cinema gli ha cambiato la vita, il cinema hollywoodiano, non quello realista. E credo sia un nesso importante per capire anche la sua scrittura perché, a parte Il sentiero dei nidi di ragno, è tutta basata su un patto molto simile a quello che uno spettatore fa vedendo un film hollywoodiano, cioè ci credo ma non ci credo, non c’è del realismo, non ti sto raccontando una storia vera ma una storia fantastica. E la chiave del fantastico per Calvino è stata essenziale”. Forse per questo, tranne qualche eccezione, gli scritti di Calvino trovano più facilmente rifugio in una dimensione più dilatata (come in Marcovaldo, lo storico sceneggiato Rai con Nanni Loy), o nel documentario. Ferrario si è ispirato a Le Città invisibili per il suo docufilm, interpretato tra gli altri da Valerio Mastandrea e Filippo Scotti e prodotto da Anele con Luce Cinecittà, Rai Cinema e RS Productions. “C’è una relazione ambigua tra le opere di Calvino e il cinema - spiega - perché credo che la scrittura di Calvino sia diventata cinematografica e solo apparentemente questo è un vantaggio. Palomar diventa difficile da trasporre perché è già un film in parole e Le città invisibili è la stessa cosa. La mia esperienza di aver provato con questo film a mettere in scena un’idea di Città invisibili mi ha messo di fronte alla complessità della scrittura di Calvino che non puoi tentare di rappresentare con quello che c’è scritto ma devi ulteriormente astrarre, quasi scavare le parole, scalpellarle come aveva fatto lui per tirar fuori un senso di astratto che ti ributta nella realtà”.
Bellocchio, Richard Gere e il film sul Barone Rampante
A trasformare un romanzo di Calvino in film pensò anche Marco Bellocchio: “C’è stato un momento - racconta all’ANSA - in cui sono rimasto molto colpito dai tre racconti, il Barone rampante, Il Visconte dimezzato e Il Cavaliere inesistente. Mi ricordo che per un breve periodo avevo immaginato di fare un film dal Barone rampante, colui che sta sempre sugli alberi e non vuole più scendere. Mi sembrava un’idea cinematograficamente straordinaria. Poi seppi che un grande attore americano Richard Gere aveva preso i diritti e che poi non se ne fece più niente”. La realtà è che Gere tenterà in ogni modo di avere un sì dalla moglie di Calvino (“Chichita pleeeease”, dirà anche in pubblico) ma senza successo. La sua passione per Cosimo Piovasco di Rondò rimarrà però intatta. E lo testimoniano le diverse occasioni pubbliche in cui ha letto brani del romanzo, rigorosamente in inglese, facendo sorridere il pubblico al momento di snocciolare in italiano i nomi dei componenti della famiglia, tutti articolati e lunghissimi così come li aveva inventati Calvino. Alla fine i diritti del Barone rampante se li è aggiudicati Lorenzo Mieli produttore tra l’altro, (con The Apartment, gruppo Fremantle) di E’ stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino. "Sono ossessionato dal lavoro di Calvino da sempre – ha detto - e riuscire a ottenere questi diritti per me è già un risultato incredibile". La storia di Cosimo diventerà una serie.
Nei ricordi di Bellocchio però, quando parla di Calvino, rimane anche la gratitudine per la difesa che fece del suo primo film, I pugni in tasca che uscì nel 1965. “Allora l’ideologia era ancora molto importante” ricorda il regista, spiegando che secondo la critica la pellicola “non corrispondeva alla linea comunista” al punto che “i cineasti sovietici usarono il termine ‘patologisky’ per definirlo: era un caso patologico e quindi non interessava, non rientrava nella logica della lotta di classe, mentre Calvino lo definì un film molto importante e lo segnalò dicendo ‘Dovete guardarlo con uno sguardo più libero’”.
Ermanno Olmi e i disegni per illustrare Il sentiero dei nidi di ragno
Anche Ermanno Olmi, il grande regista scomparso nel 2018, ha un ricordo personale legato a Calvino che ha raccontato quando ha ritrovato in un cassetto i disegni che da ragazzino buttò giù per partecipare ad un concorso che selezionava le migliori illustrazioni per Il sentiero dei nidi di ragno. Olmi rimane folgorato da quel romanzo il cui protagonista, quando uscì il libro, ha la sua età: 16 anni. E si immedesima immediatamente in quel ragazzino. Va alla presentazione del libro, dove lanciano un concorso di disegni per illustrarlo. Lui prende carta e penna e inizia a disegnare, ma poi abbandona l'impresa.
Dopo molti anni, ormai regista affermato, incontrerà Calvino, ma non gli racconterà di quei disegni fatti per il suo romanzo. Il sentiero dei nidi di ragno continuerà però ad appassionarlo, anche da adulto. “Ho sempre pensato - disse - ad una trasposizione cinematografica, ma doveva andare così, doveva rimanere una sorta di promessa, anche senza esito ma era già bella la promessa”.
I documentari, il teatro e la passione di Lella Costa per Calvino
Film mai realizzati dunque, a fronte di diversi documentari che invece ruotano attorno a Calvino. All’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia è stato presentato Italo Calvino, lo scrittore sugli alberi di Duccio Chiarini. “La capacita di Calvino di riuscire a guardare alle vicende umane sia da vicino che da lontano – spiega Chiarini - è in gran parte dovuta alla capacità che ha avuto di preservare per tutta la vita uno sguardo lucido, cristallino riuscendo sempre a trovare diverse focali con cui guardare all’umanità e alla complessità”. Calvino, sottolinea il regista, “aveva la capacità di mettersi vis à vis con i temi universali dell’esperienza umana e questo ovviamente gli permetteva di rimanere attuale sempre, a prescindere dalle epoche storiche”.
Se il cinema ha faticato a raccontare la molteplicità contenuta in tutti i romanzi dello scrittore ligure, ci è invece riuscito benissimo il teatro, dove ricreare le immagini che Calvino disegna con le parole è possibile senza interferenze. L’attrice Lella Costa ha più volte portato sul palco Le città invisibili ed ha sempre parlato del suo grande amore per tutta l’opera di Calvino. “Per me - ha assicurato - è un autore della vita, una passione. Credo sia uno degli autori più grandi che abbiamo avuto e che forse il mondo fuori dall’Italia conosce meglio di noi. Mi sembra importante, ogni volta che posso, far suonare le parole di Calvino che sono meravigliose”. E incredibilmente attuali: “Quando si mettono insieme tutte queste qualità e tutti questi talenti si riesce ad avere una visione del mondo che verrà che in pochi altri hanno avuto e soprattutto hanno saputo raccontare così bene”.
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