Sarà per il numero tondo di questa edizione, 70, che ha ormai passato il giro di boa (mancano ancora sette film), ma sulla Croisette c'è ancora attesa del capolavoro, ovvero del film che possa mettere d'accordo tutti in una giuria così eterogenea e con presidente l'ingombrante figura di Pedro Almodovar.
Intanto il gioco sembra apparentemente facile per due film, quelli targati Netflix (OKJA e THE MEYEROWITZ STORIES). Non solo perché hanno avuto l'abiura del regista spagnolo, ma anche perché in realtà non entrano nei canoni di un festival. Ma ci potrebbero essere sorprese, intanto THE MEYEROWITZ STORIES di Todd Haynes è piaciuto molto ai francesi e poi un compromesso potrebbe arrivare dalla giuria, divisa su Netflix, nel dare premi inattaccabili come miglior attori a Tilda Swinton, per OKJA, e al grande Dustin Hoffman per il film di Haynes. È tutto da vedere.
Così in un'edizione che ha avuto la caratteristica di vedere opere sincopaticamente perfette, divise tra grandi momenti e cali improvvisi, due i film, che almeno nel cuore dei critici, sono in zona Palmares: 120 BATTEMENTS PAR MINUTE e LOVELESS. Per i critici francesi di Le Film Francais al primo posto è 120 BATTEMENTS PAR MINUTE di Robin Campillo con la nascita di Act Up, organizzazione di attivisti che negli anni Novanta ha richiamato l'attenzione sulle conseguenze dell'AIDS. Intanto è un film francese (e siamo nel 70/mo), con perfette ricostruzioni dei blitz degli attivisti, ma con una deriva finale lungamente mortuaria e melò. A suo favore le tematiche gay di sicuro interesse di Almodovar.
La stampa anglosassone si butta invece, forse a ragione, su LOVELESS di Andrey Zvyagintsev, autore di Leviathan che racconta, con grande spietatezza, la ferocia della Russia borghese d'oggi dove non vi è amore neppure per i figli, ma solo per i soldi. È il caso di due genitori divorziati, che neppure si accorgono della fuga del loro figlio tredicenne dopo un'ennesima loro lite. In seconda posizione, almeno per i giudizi della stampa anglosassone raccolti da Screen, troviamo due film a pari merito: lo svedese THE SQUARE e l'americano WONDERSTRUCK. Il primo a firma di Ruben Ostlund è un'intelligente satira sul mondo dell'arte contemporanea che ripete sempre se stessa e non sa neppure più cosa sia. Un'installazione evento va fuori controllo del direttore creativo di una galleria ossessionato da un'idea: quanto per le persone di oggi contano gli altri? Satira intelligente e grande senso estetico potrebbe suscitare simpatia sia in Almodovar che nel nostro Paolo Sorrentino.
Tutto altro discorso per WONDERSTRUCK di Todd Haynes con cui il regista americano ritorna in concorso a Cannes dopo Carol del 2015. Due storie con stile diverso (b/n e colore), ma entrambe molto estetizzanti: una nel 1977 con Ben che rimane sordo per un fulmine e scappa dal Minnesota a New York; un'altra del 1927, con protagonista Rose, ragazzina sorda del New Jersey, che raggiunge la Grande Mela in cerca della sua attrice preferita. I loro destini, tra toni di favola, inevitabilmente si incroceranno. Sul fronte francese a giocarsi il secondo posto ancora LOVELESS e appunto de THE MEYEROWITZ STORIES di Noah Baumbach, commedia alleniana pieno di spirito yiddish con un grande Dustin Hoffman da Palma, che racconta una tragica riunione di famiglia tra veleni, rivendicazioni e poco amore.
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