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Charlie Hebdo, a un mese dalla strage

Charlie Hebdo, a un mese dalla strage

14 febbraio 2015, 18:13

Redazione ANSA

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Il numero di Charlie Hebdo stampato dopo la strage del 7 gennaio © ANSA/EPA

Il numero di Charlie Hebdo stampato dopo la strage del 7 gennaio © ANSA/EPA
Il numero di Charlie Hebdo stampato dopo la strage del 7 gennaio © ANSA/EPA

Il peggior incubo del terrore si è concretizzato un mese fa: con le stragi di Charlie Hebdo e quella dell'Hyper Kocher che hanno terrorozzato Parigi fra il 7 e il 9 gennaio e lasciato per terra 12 morti.

Dopo la reazione a caldo della Francia - due milioni di persone in piazza e i leader mondiali schierati uno al fianco dell'altro - e della redazione di Charlie Hebdo, che ha fatto uscire il giornale dopo che una parte della redazione era stata uccisa, il comprensibile momento di elaborazione di quanto è successo. La redazione di Charlie Hebdo si è fermata e il prossimo non sarà nelle edicole prima del 25 febbraio.

LE TRE GIORNATE DI TERRORE 
Il commando che ha terrorizzato la Francia per oltre due giorni era composto da elementi che si rivendicano di al Qaida e dello Stato islamico, uniti nel comune obiettivo di fare strage tra gli "infedeli". I fratelli Kouachi, secondo le parole dello stesso Chérif in una telefonata a un'emittente francese durante l'assedio di Dammartin, agivano "per conto di al Qaida", in particolare del ramo yemenita-saudita l'Aqap. Sono stati finanziati "da Anwar Awlaki", l'imam radicale ucciso in Yemen nel 2011 che Cherif incontrò prima della morte in Yemen. Il collegamento tra i due terroristi e il network del terrore erano già emersi con forza in questi giorni. Loro stessi, nel corso del tragico blitz contro la sede di Charlie Hebdo, avevano gridato "siamo di al Qaida in Yemen". E Charb, il direttore della rivista, era finito nella wanted list di al Qaida sin dal 2013.

Dopo il massacro di Parigi i siti jihadisti hanno ripubblicato il manifesto di morte, con una x rossa su Charb, il ringraziamento ai due fratelli e il sinistro richiamo proprio ad Awlaki, con la sua famigerata frase "The Dust will never settle down", le acque non si calmeranno, titolo di uno dei più violenti discorsi dell'imam americano-yemenita. Solo tre anni prima, nel 2010, Awlaki aveva trattato il tema delle vignette "blasfeme" contro Maometto nel primo numero di Inspire, il magazine fondato dall'imam e gestito dall'Aqap. Gli autori delle vignette dovevano "essere giustiziati".

Nel 2012 poi, l'intero staff di Charlie Hebdo era stato dichiarato un "obiettivo" dal portavoce americano di al Qaida, Adam Yahiye Gadahn. Due giorni fa la strage di Parigi. Ai due fratelli, che hanno agito come un commando militare, segno del fatto che erano ben addestrati, si aggiunge Amedy Coulibaly. E' un antico sodale di Chérif, che conobbe in carcere nel 2005. E tutti e tre aderiscono alla 'filiera delle Buttes Chaumont', il parco che sorge nel 19/o arrondissement di Parigi, considerata una 'maxi-cellula' del terrorismo di matrice islamica.

Coulibaly e i due fratelli si dividono i compiti: "A loro Charlie Hebdo, a me i poliziotti", ha detto il terrorista, anche lui in una telefonata all'emittente BFM.

Prima Coulibaly ha ucciso una agente di polizia, poi si è dato alla fuga. Mentre le forze speciali assediavano i fratelli nella tipografia di Dammartin, ha fatto irruzione in un negozio kosher a Parigi. "Liberate i fratelli Kouachi e non fate assalti o ucciderò tutti gli ostaggi": ha detto nel corso della giornata agli agenti che trattavano la sua resa. Dopo il blitz delle forze speciali e la morte dei tre terroristi, i sostenitori di al Qaida e dell'Isis sono tornati a unirsi sui social network. Hanno lanciato l'hashtag "#jesuiskoauchi" e celebrano il martirio dei "leoni di Francia". Altri lanciano terribili parole d'ordine: "Questo è solo l'inizio, i crociati si preparino a giorni ancora peggiori".

Riproduzione riservata © Copyright ANSA

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