‘Parola di tutte le parole e misura di tutta le misure’: fa impressione pensare che Leonard Cohen, per sua stessa ammissione, abbia impiegato 40 anni a concludere, non solo questo singolo verso certo, ma il disco che contiene anche la canzone, Born in chains, nato in catene.
Una parola, anche semplice e di uso piuttosto comune, può improvvisamente risultare pesante, invasiva, soffocante. La misura e le misure, potremmo dire con un facile gioco di parole, sono state la misura (e lo saranno ancora) della nostra esistenza al tempo della pandemia da Covid. Dispiegando da subito, la misura, la sua polisemia, il suo (almeno) duplice significato.
Le misure del governo, a cominciare dai famigerati Dpcm, decreti del presidente del consiglio dei ministri, e la misura (un metro, un metro e mezzo, otto metri, 10 metri quadrati, ma anche la misura e l’estensione della zona gialla rossa o arancione) intesa come distanza, spazio, iato. [ ]
Nati liberi, almeno dal punto di vista delle libertà individuali garantite dalla Costituzione, ci siamo ritrovati in catene, sottoposti a misure di ogni tipo.
Regolati, nella nostra vita quotidiana, da decreti e piegati alla confortevole tirannia della distanza e del confine, altro termine di cui ci siamo già occupati.
Ma la misura, come ha ben spiegato l’Accademia della Crusca, è cosa diversa dalla misurazione. La misura è, dal greco, mètron (in sanscrito matram) ma non è necessariamente un metro.
A qualcuno, piuttosto, potrebbero tornare alla mente, con buona pace del Dio biblico e di Cohen, gli studi della scuola secondaria superiore e quel Protagora che, sgombrando il campo dagli dei, argomento su cui per l’uomo è impossibile pronunciarsi, affermava che ‘l’uomo è misura (mètron, appunto) di tutte le cose, di quelle che sono per ciò che sono e di quelle che non sono per ciò che non sono’.
In questo caso, la misura è dunque ‘termine di riferimento’ e siccome qui si parla dell’uomo, cioè di noi, si fa presto a pensare che ognuno può avere la propria: per qualcuno, come cantava Elvis, è il successo, per qualcun altro la ricchezza, per lui, ‘measure for measure’, era l’amore. Cha romanticone. Più affilata e molto meno zuccherosa la ‘misura per misura’ che nell’omonima e problematica opera di Shakespeare ricorda piuttosto il primitivo e vendicativo ‘occhio per occhio’ o nella migliore delle ipotesi, l’evangelico ‘con la misura con la quale misurerete sarete misurati’ (Matteo).
Ma siamo ancora nel campo dei metri, degli spazi, delle misurazioni, dei riferimenti, dei rapporti. Nella parola misura c’è di più. E’ qualcosa che, pur non derivando dal latino mensura (da mensus, participio passato di metiri, misurare), proviene pur sempre da quel mondo: è la misura come modo (è effettivamente uno dei vari significati di modus, come ha spiegato Nicola Gardini in Le 10 parole latine che raccontano il nostro mondo, Garzanti), come equilibrio, punto giusto, limite, convenienza e addirittura perfezione.
Più ancora della tiepidezza di chi resta in un raggio di normalità, qui risuona dunque l’elemento dell’ ‘a misura’ o del ‘su misura’, quindi della precisione, dell’esattezza. Certo, la precisione non è mai esuberante, non è mai barocca e la misura in questo senso si avvicina di più a quello che si sarebbe detto (e si può ancora dire) il ‘buon gusto’. Nel Settecento, nel pieno di un dibattito allora molto in voga in relazione alla poesia, lo storico e scrittore Ludovico Antonio Muratori lo definiva come la misura che fa distinguere ‘tra il bello e il deforme’. La si potrebbe quasi definire, prendendo a prestito il titolo felice di un libro di Pier Luigi Celli, dirigente d’azienda di lungo corso, una virtù debole.
O meglio, il perno di ogni virtù debole come il rispetto, parola di cui ci siamo già occupati, e dignità. Debole forse, perché non battagliera, antagonista, prorompente, ma non certo pallida o incolore: non si spiegherebbe altrimenti l’espressione ‘mezze misure’, dall’accezione chiaramente negativa, che indica decisioni monche, tentennamenti, passi incerti e che dà, per converso, potenza speciale alla misura come forza equilibrata, centro di gravità permanente, sostegno instancabile.
‘La misura è colma’, ecco un’altra espressione per la quale facciamo uso di questa parola, quando abbiamo raggiunto e quasi travalicato il limite del giusto, quando siamo, appunto, fuori centro. Nemmeno la parola misura, dunque, può essere considerata neutra, piatta, banale. E forse per questo, cogliendola in fallo proprio in uno dei suoi significati primari e apparentemente ‘oggettivi’, Robert Kennedy pronunciò una frase rimasta celebre: ‘Il Pil misura qualunque cosa tranne ciò per cui vale la pena vivere’.
Ascolta "La parola della settimana: misura (di Massimo Sebastiani)" su Spreaker.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA