‘Chi controlla il debito, controlla tutto quanto’, era la lapidaria conclusione di Luca Barbareschi nel suo cameo nel film The international con Naomi Watts e Clive Owen. Barbareschi interpreta Calvini, un imprenditore che produce sistemi di guida intelligenti per armi leggere e ha una banca come broker. Perché? gli chiedono un agente dell’Interpol e la procuratrice distrettuale. Mirano al controllo, è la risposta. E di cosa? Del debito prodotto dal conflitto, che è poi, dal punto di vista finanziario, il vero valore di una guerra, dice Calvini.
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Se l’emergenza perdurante causata dal Covid19 debba essere considerata una guerra è stato oggetto di dibattito ma che le conseguenze di questa crisi finiranno per incidere pesantemente sul debito degli Stati coinvolti è cosa universalmente accettata e anche quantificata di recente, almeno a livello di stime, dalla Commissione di Bruxelles per i paesi dell’Unione europea. Si è tornati così a pronunciare una parola, debito appunto, che ha ormai assunto una sonorità funebre e il cui peso è stato oggetto di polemiche furiose da dopo la crisi innescata dai mutui subprime, passando per il caso Grecia, controllata dalla Troika, fino al rischio default sfiorato dall’Italia e all’attuale discussione sugli strumenti per affrontare la recessione da Covid. Si sono fronteggiati sostanzialmente due partiti, quelli per cui l’Europa era la sola àncora di salvezza e quelli secondo i quali la soluzione di tutto sarebbe stata uscire dall’euro, stampare moneta e risolvere così rapidamente la crisi del debito. Il quale, per i più estremisti tra questi, è un addirittura un falso problema. E si era parlato di cancellazione o remissione del debito per i paesi del terzo mondo in una campagna planetaria lanciata negli anni ’90, la cui adesione più illustre fu quella di Giovanni Paolo II.
Ci è stato spesso ricordato, per quantificare la mole del debito italiano, che ognuno di noi ha circa 40mila euro di debito, neonati compresi, se spalmiamo i 2400 miliardi del debito pubblico italiano per i circa 60 milioni di abitanti. E la reazione naturale di molte persone è quella di dire: ‘ma non posso accollarmi questo debito perché non è colpa mia’. In questa affermazione, comprensibile anche se naturalmente discutibile, c’è molto di più di una semplice difesa d’ufficio. La parola debito viene infatti accostata all’espressione colpa. E non è un caso.
Scriveva Nietzsche: «Questi genealogisti della morale si sono mai, sino a oggi, anche solo lontanamente immaginati che, per esempio, quel basilare concetto morale di 'colpa' ha preso origine dal concetto molto materiale di 'debito'?». La citazione, tratta appunto da Genealogia della morale, è stata ricordata qualche settimana fa in un articolo di Luigino Bruni su Avvenire. L’etimologia della parola riporta infatti al latino debitus che è il participio passato di debēre, che significa dovere, essere obbligato. E tutto ha origine, Nietzsche ovviamente lo sapeva bene, nel Padre nostro dove si dice ‘rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori’. Il significato di questa frase è stato oggetto di dispute interpretative e teologiche ma secondo la Chiesa c’è una parabola, quella del “Re buono e del servo spietato” (Matteot 18,21-35), che aiuta a capire il senso di questa espressione. Qui si parla di un debito economico immenso di un servo verso il padrone che viene inaspettatamente condonato. Ma questo gesto non è di alcun insegnamento per il servo che, appena uscito dal palazzo, pretende da un suo compagno debitore i cento denari che gli deve. Economia e religione, che quando si incontrano creano sempre qualche problema, come sappiamo dai tempi delle indulgenze fino al caso di Paul Marcinkus , presidente dello IOR, la banca vaticana, sembrano dunque andare a braccetto fin dalle origini della storia del cristianesimo e non può dunque stupire lo strettissimo rapporto, messo in rilievo dall’articolo di Avvenire che abbiamo citato, che nella lingua tedesca esiste tra 'debito' e 'colpa', al punto di essere la stessa parola: Schuld. Stessa equivalenza e stessa parola le ritroviamo anche nella lingua olandese: non sfugge che, insieme ai tedeschi, sono proprio gli olandesi i più severi censori di ogni allargamento dei cordoni del debito anche in questa fase di emergenza. D’altra parte, un elemento determinante dell’etica protestante e in particolare di quella calvinista (ecco, forse, perché Barbareschi nel film si chiama Calvini), è la capacita di impegnarsi e realizzarsi nel mondo anche attraverso il successo professionale e l’arricchimento: per questo Max Weber nel celebre ‘L’etica protestante e il capitalismo’ considerò il calvinismo una precondizione culturale della mentalità capitalista.
Ma alla fine, è sempre un problema di parole: il coronavirus, o meglio la dimensione della reazione necessaria a fronteggiarlo, può essere equiparata ad una guerra? Se sì, il debito è non solo legittimo ma necessario. E a dirlo, se vogliamo continuare a surfare tra economia e religione, è stato un cattolico e non uno qualsiasi: Mario Draghi, ex presidente della Banca centrale europea, che in un articolo sul Financial Times del 25 marzo ha scritto che ‘è il ruolo corretto dello stato distribuire il proprio bilancio per proteggere i cittadini e l'economia dagli shock di cui il settore privato non è responsabile e che non può assorbire. Gli Stati l'hanno sempre fatto di fronte alle emergenze nazionali. Le guerre - il precedente più rilevante - sono state finanziate da aumenti del debito pubblico’.
E questo, per chiudere il cerchio, è proprio il debito che bisogna rimettere, cioè non pagare. La psicoanalisi, e in particolare Lacan, hanno complicato non poco la questione parlando di debito simbolico, di cui quello economico è solo una (per)versione: e questo debito, che deriva dall’aver ricevuto un dono, è inestinguibile. La scrittura, come sembra accertato dalla paleografia, è nata per poterlo controllare: i sacerdoti mesopotamici tenevano infatti i conti delle entrate e delle uscite del Tempio, per poterle contabilizzare. Insomma, dietro le schermaglie di Bruxelles c’è una storia molto più lunga e complessa di quanto si potrebbe immaginare.
Un poeta, anzi due, l’hanno sintetizzata in una canzone: Lou Reed, riprendendo un brano di Woodie Guthrie, che certamente non aveva letto Lacan, ha cantato il paradosso del debito: ‘Ho più debiti di quanti ne possa mai rimborsare’.
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