Prima che nel 1966 arrivasse la Corea a rinominare il concetto di disfatta del calcio italiano, la Caporetto azzurra si era configurata in una serata fredda e umida del gennaio 1958 a Belfast: Gino Pivatelli , che in quella sfida decisiva con l'Irlanda del Nord per andare ai mondiali del 1958 era in campo con la maglia numero 9, la racconta al telefono all'Ansa ancora con dolore. Eppure sono passati quasi 60 anni da quell'eliminazione "che speriamo rimanga l'unica della storia, lo scriva subito del mio tifo appassionato per gli azzurri del mio amico Ventura". Pivatelli dall'alto dei suoi 84 anni racconta con voce rotonda di uomo compiuto la più brutta esperienza della sua carriera, coincidente con la disfatta di una movimento calcistico che si sentiva fortissimo ma in realtà non teneva il passo con un Paese lanciato verso il boom economico. "C' è poco da dire - scandisce Pivatelli, 119 reti in 254 presenze in serie A, con due scudetti e una coppa dei campioni a impreziosire il palmares - fu una vergogna. E io infatti dopo l'eliminazione piansi tutta la notte, un po' per l'occasione perduta e molto proprio per la vergogna". Addirittura. "Vero, mi creda. A parte un episodio quasi paradossale, sbagliai un gol fatto perché scivolai a due passi dalla porta per colpa dei tacchetti sbagliati, fu una partita da non crederci. E però ogni tanto me lo sogno, quel gol fallito: se l'avessi segnato magari sarebbe cambiata la storia del calcio italiano". Effettivamente: dopo l'eliminazione degli azzurri, battuti 2-1 dall'Irlanda del Nord, il leggendario presidente del Coni Giulio Onesti commissario' la Figc, non senza aver prima definito "Ricchi scemi" i presidenti della squadre di calcio italiane. "E però per me - riprende Pivatelli - fu anche e soprattutto una brutta pagina personale, provate voi a inseguire il sogno di giocare una partita al mondiale, arrivare a un passo da un traguardo negato al 99 per cento dei calciatori, e vederlo sfumare quando meno te lo aspetti".
Per la verità a un passo dall'esordio al mondiale Pivatelli c'era già stato, quando appena ventunenne andò a fare la riserva a Svizzera '54 nell'edizione vinta dai tedeschi dell'Ovest. Ma il suo momento per scendere in campo scoccò solo l'anno seguente, esordio col botto: gol vincente a Stoccarda nel 2-1 rifilato dall'Italia ai campioni del mondo tedeschi. Insomma, a 25 anni sembrava destinato a spaccare il mondo calcistico, e invece quella partita persa fu il suo capolinea azzurro. "Noi eravamo convinti che fosse una cosa già fatta, farsi eliminare dal'Irlanda del Nord fu una cosa incredibile. Sull'aereo di ritorno non fiatava nessuno, io ero avvilito e disfatto". Ma come andò? "Mah, fu una partita affrontata male e stregata: non me la sento di dare addosso al commissario tecnico Foni, persona degna e con un grande passato caratterizzato da un mondiale e un oro olimpico vinto. Certo se ritrovassi l'arbitro adesso lo picchierei ancora, ne ha fatte di tutti i colori. Ma dobbiamo solo fare mea culpa, perchè non è normale che la grande Italia non batta l'Irlanda del nord, non esiste perdere contro una squadra così". E al ritorno in Italia che successe? "Siamo rientrati in sordina, quasi alla chetichella. Non ci fu nessuna dimostrazione dei tifosi nei nostri confronti, quelle cose sono arrivate dopo. Certo, i giornali ci misero sotto, ma era giusto...
Pivatelli - racconta - segue ancora il calcio "ma da un paio d'anni non vado più allo stadio: comunque sono ancora in grado di dire - conclude - che gli svedesi sono una squadra ostica, ma quest'Italia è superiore. Sì, scriva anche questo, Ventura è una persona perbene, capace di portare l'Italia al Mondiale. Ne sono convinto, e se lo merita"
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