"Essere giovani oggi per la mia generazione non è affatto facile, sei perennemente sotto il giudizio delle persone con i social media, è stato un sollievo interpretare personaggi che stanno lottando con un dilemma interno senza la possibilità di andare su Instagram o TikTok per vedere come ti adatti" dice Timotheè Chalamet. L'attore, 26 anni, è tornato a Venezia con il suo ultimo film Bones and All in cui è stato diretto di nuovo da Luca Guadagnino, "quasi un padre per me", dopo Chiamami col tuo nome che lo ha lanciato qualche anno fa e gli è valso una candidatura all'Oscar. Per lui decine di ragazzi e soprattutto ragazze si sono accampati dalla mattina presto a ridosso del red carpet della Sala Grande per vederlo passare alla premiere del film in concorso per il Leone d'oro. "Il crollo della società è nell'aria - aggiunge pessimista Chalamet - e questo film credo che possa gettare luce anche su questo tema". Chalamet è Lee, "un'anima spezzata", prosegue, in fuga dalla famiglia, dal paese dove abita, in fuga anche da se stesso, è continuamente giudicato, si sente una cattiva persona, consapevole di non riuscire ad impedirsi di mangiare con voracità altri esseri umani, per quello si nasconde, vive ai margini. E quanto incontra Maren (Taylor Russell), 18enne in fuga per lo stesso motivo, abbandonata dal padre che non come gestirla e in cerca della madre che non ha mai conosciuto e che le ha trasmesso il cannibalismo, "provano la possibilità di vivere l'impossibile", come spiega Guadagnino. "Una storia d'amore straziante, tragica, fortissima", dice la star americana, fino alle estreme conseguenze. L'amore ci salva e ci libera? "Il film parla di questo tentativo, se invece la domanda è personale rispondo che per l'amore sono ancora tanto giovane". L'amore è la chiave per provare a cambiare un destino, "nello specchio dell'amore trovano un modo di crescere, di formarsi, in questo è stata una grande esperienza formativa, cui ha contributo la vita in pandemia, la sensazione di isolamento che tutti noi abbiamo provato a me come ad altri giovani ci ha rallentato la possibilità di capire chi siamo nel mondo, ci ha in un certo senso sospesi, tagliati fuori dal contatto sociale che ci aiuta a capire dove siamo". Nonostante la premessa horror, Bones and All è alla fine ancora un dramma di formazione nella linea di altri film di Guadagnino, raccontando sotto metafora e sotto la patina degli anni '80 di due giovani disertori della società che sono in cerca di identità, del saper stare al mondo, di trovare persone simili, la loro tribù. Qualcosa che ha molto a che fare con l'attualità. Luca Guadagnino è il primo dei cinque registi italiani in gara per il Leone d'oro a Venezia 79 ma è anche il suo primo film americano, tutto girato in America, nei grandi spazi del Midwest, "il paesaggio americano l'ho sognato sin dall'inizio, fa parte della mia formazione di cineasta e questo copione di David Kajganich è stato l'occasione per viverlo da regista". Basato sul romanzo omonimo di Camille DeAngelis, presentato da Vision e da Mgm, in sala dal 23 novembre, il film è una sorta di odissea on the road sui reietti e "sul sogno di trovare un luogo - dice Guadagnino - in cui sentirsi a casa. Maren e Lee vivono una situazione estrema, ma le domande che si pongono sono universali: chi sono, cosa voglio? Come posso sfuggire a questo senso di ineluttabilità che mi trascino dietro? Come possono entrare in sintonia con qualcun altro?". Guadagnino ammette di sentirsi da sempre "attratto da coloro che, forse per scelta, non sono al centro dei giochi. Per me, Maren e Lee sono due persone costrette a vivere al limite. Volevo che le persone amassero questi personaggi, li comprendessero e non li giudicassero. Il mio desiderio è che il pubblico veda in Maren e Lee il riflesso cinematografico di tutte le possibilità che fanno parte di noi in quanto esseri umani".
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