Monica Carcea "non è stata eletta con i voti della 'ndrangheta ma con quelli di cui poteva disporre lei. Ha viaggiato in autonomia, si è candidata in maniera trasparente". Lo ha detto l'avvocato Francesca Peyron, che insieme al collega Claudio Soro difende l'ex assessore comunale di Saint-Pierre imputata per concorso esterno in associazione mafiosa nel processo Geenna con rito ordinario.
"La prova regina è l'incipit della sua carriera politica, e il dibattimento è stato fondamentale. Carcea l'hanno voluta in tanti non perché vantasse rapporti con un locale di 'ndrangheta ma perché fa parte di una famiglia numerosa, quella di Pino Lazzaro, perché è stra conosciuta quanto meno in ambito scolastico e perché è fresca di laurea. Come abbiamo visto, le competenze sono importanti e se ce ne fossero state un po' di più in quel Comune, magari certe cose non le avremmo viste". Lo confermano, secondo il legale, le testimonianze di due degli allora candidati alle comunali del 2015, Alessia Favre e Giuseppe Jocallaz. Il sogno della Carcea era "fare la consulente contabile" e dopo la laurea in Economia "non ha trovato la sua sede e quindi ha messo a disposizione le sue competenze per il Comune".
Riguardo ad Augusto Rollandin "Carcea non l'ha mai incontrata né è mai intervenuto per farle assumere la carica" in Comune.
Secondo l'avvocato, "Marco Di Donato per certi termini è sembrato essere un po' un banfone".
Nell'essere assessore Carcea - ha aggiunto l'avvocato Peyron - "cosa ci ha guadagnato? Il marito lo dice, 'ma togliti, ne uscirai malata'. Deve far tutto, ha dato la sua disponibilità e le sue capacità, per tutti".
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