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ANSAcom - In collaborazione con Gilead
Dall'Hiv non si guarisce ancora, ma le persone affette dall'infezione oggi hanno una qualità e un'aspettativa di vita simile a quella della popolazione generale. Perché ciò avvenga, tuttavia, è necessario seguire la terapia con costanza e regolarità, evitando che si sviluppino resistenze ai farmaci e che l'infezione progredisca. Un traguardo non semplice, per chi deve assumere una terapia tutta la vita, ma che può essere raggiunto trovando insieme al proprio medico la soluzione più adatta a ognuno. Sono questi i temi al centro di "Hiv. Parliamone ancora!", iniziativa realizzata nell'ambito di "HIV. Ne parliamo?", campagna di sensibilizzazione promossa da Gilead Sciences, di cui oggi sono stati presentati nuovi materiali in occasione dell'Italian Conference on AIDS and Antiviral Research (ICAR) in corso a Roma fino al 21 giugno.
Le terapie antiretrovirali hanno rivoluzionato il trattamento dell'Hiv, consentendo sia di migliorare la qualità e l'aspettativa di vita dei pazienti, sia di contrastare il diffondersi dell'infezione. Il trattamento consente infatti di ottenere la soppressione della replicazione virale e in questa condizione il rischio di trasmettere ad altri l'infezione è azzerato. La chiave per garantire che la carica virale rimanga soppressa è, però, l'aderenza alla terapia. Se la terapia non è assunta correttamente, il virus riesce nuovamente a replicarsi e produrre nuove copie virali che possono contenere mutazioni che lo rendono resistente ai farmaci. "Una volta che il virus ha 'imparato' a rendere inefficace un farmaco, non lo dimentica più. Ecco perché la resistenza ai farmaci limita le opzioni terapeutiche disponibili e può rendere più complessa la gestione dell'infezione", dice Simone Lanini, professore associato in Malattie Infettive Università degli Studi di Udine.
Modificare i farmaci non sempre è la soluzione; inoltre, può complicare la gestione della terapia. Per questo è meglio prevenire l'innescarsi della resistenza. "Adattare la terapia alle abitudini di chi la assume, e non viceversa, aumenta le probabilità che questa venga assunta correttamente", afferma Giuseppe Lapadula, ricercatore in Malattie Infettive all'Università degli Studi Milano-Bicocca. Ciò può avvenire con un dialogo tra medico e paziente che sia "franco, aperto e bidirezionale. Deve creare empatia e favorire un modello di cura collaborativo", aggiunge. "Deve esplorare tutti gli aspetti che possono ostacolare un'assunzione ottimale della terapia e, se necessario, deve fornire alla persona che vive con Hiv gli strumenti per rimodellare l'interpretazione della propria malattia e condividere nuovi obiettivi di cura", conclude Lapadula.
ANSAcom - In collaborazione con Gilead
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