(ANSA) - NAPOLI, 15 MAR - "Il miglior carcere è Santa Maria
Capua Vetere, lì i detenuti è come se fossero sempre in hotel".
Parlavano così in chat su whatsapp due poliziotti penitenziari
qualche giorno dopo le violenze ai danni dei detenuti avvenute
nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di
Caserta, il 6 aprile 2020, quando c'era già stata fuori dal
carcere la manifestazione dei familiari dei detenuti contro gli
allora solo presunti pestaggi, e stavano iniziando ad uscire in
modo sparso su qualche sito i racconti dei detenuti vittime
delle violenze.
Il messaggio, datato 15 aprile 2020, è stato letto insieme ad
altri nell'udienza del processo per le violenze, che si sta
svolgendo davanti alla Corte d'Assise del tribunale di Santa
Maria Capua Vetere all'aula bunker del carcere, dal teste
Emanuele Macrì, attualmente comandante della Compagnia
Carabinieri di Cagliari e al tempo dei fatti a capo della
Compagnia di Santa Maria Capua Vetere, il primo investigatore ad
occuparsi di ciò che era avvenuto nell'istituto di pena
casertano.
Dal tenore dei messaggi letti in aula da Macrì su
sollecitazione del pubblico ministero Alessandro Milita
(procuratore aggiunto a Napoli ma applicato a questo processo),
emerge la paura e l'ansia degli agenti per quello che sarebbe
potuto venire fuori. L'11 aprile un agente scrive al collega:
"Sta cosa del Nilo può travolgere tutto"; un altro poliziotto si
preoccupa che i video dei familiari dei detenuti che avevano
protestato dopo il 6 aprile contro le violenze subite dai
congiunti, potesse finire sulle reti nazionali. "I sindacati
devono intervenire per evitare strumentalizzazioni", dice.
(ANSA).