“Non ho niente da dire al di fuori del mio lavoro di narratrice. Non possiedo opinioni particolarmente acute su alcun argomento e il mondo per me rimane un enigma. E’ proprio questa, d’altronde, la ragione che mi induce a volerlo esplorare. Vedo la letteratura come un’esplorazione degli esseri, delle cose e dei casi”. È insieme una confessione e una dichiarazione d’amore all’Italia il discorso-racconto che Yasmina Reza ha scritto per il Malaparte 2021, il riconoscimento letterario internazionale che la premia - proprio nel giorno in cui il presidente di giuria Raffaele La Capria compie 99 primavere - per la sua lunga produzione, sempre a cavallo tra romanzo e teatro, da Il dio del massacro ad Arte, l’ultimo Anne-Marie La beltà fino a Serge, che uscirà in Italia i primi di marzo 2022, ancora per Adelphi.
Allure tutta parigina, ma origini iraniano-ungheresi, un italiano fluentissimo grazie alle lunghe frequentazioni veneziane (dove ha una casa), la scrittrice è arrivata a Capri insieme al suo ex marito, il regista Didier Martiny, che su di lei sta girando un documentario, regina dei tre giorni in cui il Malaparte festeggia anche la decima edizione dalla sua ripartenza. “Dieci anni fa, quando lo abbiamo ripreso in mano - racconta all’ANSA la coordinatrice Gabriella Buontempo - sentivamo la responsabilità e l’eredità lasciata da mia zia Graziella Lonardi Buontempo e Alberto Moravia, che lo avevano fondato nell’83. Oggi siamo fieri del percorso realizzato fin qui. Nel dopo-pandemia, poi, si sente una gran voglia di tornare alla cultura, di leggere, di incontrarsi”. “Dieci anni sono un bellissimo traguardo”, aggiunge Michele Pontecorvo Ricciardi, vicepresidente della Ferrarelle che da dieci anni è al fianco del premio, in quest’edizione anche come presidente del Fai Campania che ha dato il suo patrocinio morale. “Un altro segnale importante di incentivo al territorio a puntare su progetti di valore. Un territorio - prosegue - che deve vivere sempre di più di cultura, sostenibilità e di un turismo che sia attento e rispettoso verso un ecosistema piccolo, delicato e fragile come quello dell’isola di Capri”.
E la Reza, grande camminatrice quanto riservata (gioia e dolore di fotografi e operatori), l’isola l’ha esplorata quasi tutta. “Sono estremamente commossa e onorata di ricevere il Premio Malaparte - racconta oggi alla platea della Certosa di San Giacomo - Perché è un premio italiano e io con questo Paese ho costruito un legame speciale. Perché porta il bel nome inventato di uno scrittore molto romanzesco. E per l’illusione di sentimi importante nel campo che ho scelto. Anche se è un’illusione che dura un giorno soltanto. Rimpiango profondamente l’assenza di Roberto Calasso”, aggiunge ricordando il suo storico editore italiano, scomparso a luglio. “In settembre, quando mi sono stati recapitati i suoi due libri più recenti, Bobi e Memè Scianca - dice - li ho aperti con l’assurda speranza di leggere come sempre una breve dedica affettuosa. Non c’era niente. Era la certificazione della morte. Gli sono debitrice dell’onore di figurare tra gli scrittori dell’Adelphi”.
Poi, il suo “dono” al premio. “Tempo fa - racconta - ho deciso di trascorrere qualche settimana all’anno a Venezia. Cammino molto per la città e mi capita di scrivere brevi testi a partire da un’impressione o da un minuscolo evento. Testi che finiscono direttamente in un cassetto e di cui fino a oggi non ho fatto mai niente”. Come questa “piccola” storia di un primo incontro, proprio tra le calli veneziane, con l’attore Bruno Ganz. E poi di un altro, a distanza, quasi non vissuto, pochi mesi prima della sua morte. O forse, chissà. Ci fermiamo qui, svelarlo sarebbe un peccato. “Parto sempre da una scena, mai da un tema. Due-tre pagine, se funzionano costruisco il resto”, aveva raccontato la Reza giusto ieri. E chissà che anche questa storia, prima o poi, non prenda davvero “vita”.
In collaborazione con:
Ferrarelle