In passerella, esce per prima una modella con un abito maschile, non adattato alle forme femminili, ma proprio così com'è. E poi sono quasi tutte uscite dedicate a lui, con la tuta sportiva che si innesta sul classico suit maschile in modo così naturale che sembra quasi nato così: il logo dell'Adidas sul taschino, le strisce sul fianco dei pantaloni. "Pensavo al suit maschile e a quello sportivo, è un incrocio molto desiderato anche da me - spiega
il direttore creativo Alessandro Michele - in fondo la tuta è il suit più antico e chic del nostro guardaroba". Questo incrocio, lui lo ha moltiplicato in un gioco infinito di specchi, con le righe che diventano una cuffia da piscina, il bustier di un abito nero da sposa, la gorgiera di un abito vittoriano che sarebbe piaciuto alla contessa Castiglione. E poi si innestano sulle borse, gli abiti da sera, gli stivali, le mantelle, i guanti. "Ho pensato a quanto tutto sia ambiguo, ho inneggiato di nuovo - racconta il direttore creativo - all'ambiguità di forme e simboli che si moltiplicano". Di operazioni simili, ultimamente se ne sono viste tante, anche in casa Gucci, con il match con Balenciaga, "ma io - ricorda Michele - ho iniziato a farlo sette anni fa mettendo simboli pop e facendo incroci". Una sincerità di intenti che Michele rivendica anche nella scelta di far sfilare una collezione uomo nella settimana della donna: "ho iniziato 7 anni fa con una collezione uomo e hanno gridato tutti all'inventore del gender fluid, cosa della quale vado anche un po' fiero, ma quello era uno show uomo e a me andava di tornare a raccontare il mondo maschile".
Se l'uomo Gucci è aperto al dialogo con il mondo femminile, da sempre alle donne piace indossare abiti maschili, e da qui è nata l'idea di tornare a sfilare a Milano dopo 2 anni proprio con una proposta essenzialmente per lui. Il tutto filtrato da uno specchio - riflette Michele - che "è multiforme e vagamente deforme" e aiuta per questo a raccontare quanto gli abiti siano "portatori di altri messaggi che raccontano il nostro io, la nostra contraddizione dell'essere al mondo". Così l'abito non può che essere metamorfico, come un vestito Adidas indossato da Madonna nel 1993 che non era prodotto dall'Adidas ma creato da una designer e che è stato tra le ispirazioni della collezione. Perché è la strada per prima, secondo Michele, a restituire questi "incroci caleidoscopici" di cui sono fatti la sua moda e simboli potenti come le strisce, che accomunano il brand del lusso made in Italy e il marchio sportivo, ma che poi - nota Michele - a sua volta Gucci ha ereditato magari dal mondo medievale. Allo stesso modo nella collezione entrano frammenti di memoria, a partire dagli anni'80 della club culture della colonna sonora. C'è il rigore dell'abito maschile spezzato dallo sport, ci sono le mantelle per lui, i power suit per lei, tutto "in maniera democratica" perché "cammino sempre un po' in mezzo ai due generi".
Quando ha fatto la sua prima sfilata per Gucci, portando in passerella ragazzi con la camicia con il fiocco, molti hanno detto che era una collezione gender fluid, ma quella - sottolinea lui - era una collezione uomo, esattamente come quella andata in passerella oggi. "Gender fluidity è una parola che non conoscevo così come altre che, quando diventano marketing, ti fanno un po' strano, almeno per me, perché sono stato un bambino speciale come tanti di noi e sono cresciuto così, perciò non ho sentito l'esigenza di dare grandi denominazioni". "Io - spiega - non sono contro nessuno, ho dato voce a qualcosa che appartiene al mio vissuto, il marketing lo lascerei a casa". A suo avviso, "uno deve continuare a fare ciò che ritiene giusto, senza diventare improvvisamente queer". "Io sono così, non ho fatto un'operazione, è - conclude - la verità".