Dal 20 febbraio, il mondo al quale eravamo tutti abituati a pensare è drammaticamente cambiato con l'emergenza del coronavirus diventata pandemia. Ragioniamo con Claudio Baccarani, Emerito di Economia e Gestione delle Imprese presso l’Università di Verona e docente di Marketing territoriale, socio della SIMA (società italiana di management). Cosa è cambiato?
E’ venuto meno il nostro senso di onnipotenza e di invulnerabilità ai quali la scienza e la tecnica ci avevano abituati. Così ci siamo scoperti fragili come mai avremmo pensato di poter essere. Il coronavirus che aveva colpito la Cina era sullo sfondo dei nostri media perché lontano e problema di altri, è diventato in men che non si dica un problema anche nostro, né più né meno.
L’evoluzione dei due fenomeni si è presentata in modo molto simile, primi focolai, isolamento di zone via via più ampie, fino, nel nostro caso, ad arrivare, primi al mondo, all’isolamento di tutta la nazione.
Pur con tutte le difficoltà connesse alla rinuncia di un’ampia parte delle libertà individuali, il cambiamento nello stile di vita della popolazione è stato radicale ed è sotto gli occhi di tutti, con le conseguenti ripercussioni negative su un sistema economico già in difficoltà nella sua componente internazionale.
E’ cambiato solo questo?
No, almeno altri due rilevanti cambiamenti si sono manifestati.
Da una parte, abbiamo preso atto che i confini nei fatti non esistono, sono costruzioni umane nate a fini di protezione e per l’esercizio di prerogative di controllo su un dato territorio, protezioni che il virus non ha avuto problemi a superare. Aspetto questo che sarà di primaria importanza per la rivisitazione delle relazioni internazionali e dei processi di globalizzazione quando l’emergenza sarà finita.
Dall’altra, abbiamo vissuto in modo confuso, gridato e stampato a lettere maiuscole, la prima fase della gestione della crisi con la diffusione generalizzata di un senso di insicurezza nelle comunità più colpite, estesosi poi rapidamente a tutto il Paese. La paura si è trasformata in angoscia e in questo modo l’attenzione di salvaguardia tipica della prima si è trasformata in incapacità di vivere il pericolo con cognizione di causa tipica della seconda.
L’atmosfera da guerra conclamata con lo svuotamento dei supermercati ed il triste e solitario stato di abbandono delle penne lisce, unico tipo di pasta rimasto sugli scaffali, ne è stata una chiara espressione. Per non dire della vista delle città svuotate dai turisti e poco frequentate anche dagli abitanti in ragione delle necessarie misure di contenimento della diffusione del virus, ora ampiamente condivise dalla popolazione grazie anche ad una successiva e incisiva comunicazione da parte delle maggiori istituzioni nazionali.
Ben presto questo ciclone si è spostato sui mercati con il crollo della borsa, l’innalzamento dello spread e le voci del catastrofismo radicale che hanno inondato i media evocando i rischi della crisi di mercato, della recessione e della disoccupazione, con le richieste al governo di interventi di sostegno alle imprese con risorse in deroga ai patti di stabilità definiti nell’ambito dell’Unione Europea.
Così accanto al prioritario problema sanitario si è profilato un problema economico che richiede interventi di sicurezza nell’immediato e rilancio nel medio periodo.
Come potremmo sintetizzare tutto questo per le imprese?
Con la lente della strategia d’impresa potremmo dire che il contesto ambientale in cui l’impresa agisce è diventato iper-complesso a causa di una variabile che non era mai stata posta nemmeno sullo sfondo dei processi aziendali: la propagazione incontrollata di un virus nel Paese con la diffusione di panico nella popolazione nel contesto di una rarefazione delle relazioni internazionali.
Al di là della richiesta di interventi pubblici di sostegno del tutto coerente con una situazione eccezionale ed inedita, come potrebbe porsi l’impresa in un simile contesto?
Almeno tre sono le linee di azione che meritano di essere sottolineate: l’armonizzazione dell’emergenza e della prospettiva; la rimodulazione del processo decisionale; il consolidamento e il rafforzamento della fiducia che scorre nelle relazioni aziendali.
La rimodulazione del processo decisionale richiede la consapevolezza che l’imprevedibile non può essere affrontato con la sola razionalità e nemmeno con il solo intuito, occorre combinarli in un percorso meta- razionale, o se vogliamo più semplicemente di buon senso.
Questo significa lasciare spazio anche a scelte fuori dagli schemi consolidati entro i quali ci si è mossi. Così, se i clienti non possono andare in libreria, il libraio può unire la tecnologia dei social e quella della bici per le consegne rimodulando una relazione e arrivando ad immaginare modelli di business inediti.
Il consolidamento e il possibile rafforzamento della fiducia che scorre nelle relazioni d’impresa richiede una puntuale attenzione alle esigenze delle persone che lavorano in azienda, ai partner della fornitura di materie e componenti, ai partner finanziari e ai clienti, oltre che alla comunità e alle sue organizzazioni.
Questa attenzione si manifesta prima di tutto attraverso una comunicazione chiara, semplice e trasparente sul divenire e soprattutto sulle ragioni delle scelte aziendali.
Ma anche sui problemi che i vari soggetti potrebbero avvertire, così se qualcuna delle persone che lavorano in aziende avvertisse problemi per la necessità di assistere i figli a causa della chiusura delle scuole, bene sarebbe verificare quali possibilità possano esistere di armonizzazione delle necessità aziendali e personali.Come pure il sostegno ad un fornitore di componenti in crisi temporanea di liquidità e il coinvolgimento delle competenze e delle conoscenze dei vari partner nei processi di sviluppo delle scelte aziendali sono veri e propri costruttori di fiducia.
Quella che stiamo vivendo è una sfida dai tratti del tutto nuovi per il sistema Paese, per l’Unione europea, per le imprese e per gli individui in ragione dell’incertezza e dell’indeterminatezza che porta con sé. Ma proprio questa forza negativa, se vissuta nella giusta prospettiva, potrà generare nuove opportunità, come peraltro sta già facendo con l’accelerazione dello sviluppo dello smart working e l’apertura a nuove dimensioni delle relazioni all’interno dell’Unione Europea. D’altra parte, non occorre certo scomodare Albert Einstein per capire come le idee e le innovazioni scaturiscano da momenti di emergenza e di crisi e non dalla frenetica e sconsiderata corsa sul cui traguardo e sul cui senso raramente altrimenti ci si interroga.
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